Lot Essay
Il Gran Premio per la Pittura, massimo riconoscimento tra quelli offerti dalla Biennale di Venezia, viene assegnato a Emilio Vedova proprio nel 1960, anno di esecuzione di questo dipinto. L'avvenimento riveste particolare significato anche per il fatto che la giuria di quell'edizione, anziché essere composta come al solito da commissari dei vari padiglioni, era formata da sette studiosi e critici di livello internazionale. Tra questi, ad alcuni italiani da tempo vicini al lavoro di Vedova (Giuseppe Marchiori aveva scritto la presentazione del Gruppo degli Otto per la Biennale del 1948 e Giulio Carlo Argan l'introduzione all'opera dell'artista per la XXVIII Biennale del 1956) si affiancano personalità internazionali come Werner Haftmann e Herbert Read.
La lettura dei testi che Haftmann e Read scrivono in quel periodo a commento dell'opera di Vedova è illuminante, sia per misurare il riconoscimento internazionale di cui già godeva l'artista appena quarantenne, sia per la comprensione approfondita di opere come il dipinto che presentiamo.
L'analisi di Herbert Read, che pure privilegia gli aspetti formali della ricerca di Vedova, si conclude sottolineando il carattere umanamente impegnato della ricerca di Vedova, che impone di analizzare la sua opera utilizzando la categoria del sublime. Di fronte ai suoi dipinti, infatti: "non si può parlare di bellezza, serenità o piacere (come non si può parlare di cose simili di fronte alla Crocifissione di Grünewald&i): parliamo di pietà, terrore e catarsi. Vedova è tra gli artisti più tragici della nostra epoca: è su questo piano del sublime che dobbiamo discutere la sua opera e riconoscerne la forza catartica" (H. Read, Emilio Vedova, 1962, cit. in cat. mostra Vedova 1935-1984, Venezia 1984, p. 154).
Werner Haftmann, che parla del "mio amico" Vedova, mette l'accento sul dualismo conflittuale, sulla contrapposizione tra estremi opposti messa in scena dalla pittura del maestro veneziano; secondo lui la pittura di Vedova si nutre del confronto e del dialogo tra posizioni (artistiche, umane, politiche, morali) contrastanti, che non possono ignorare la loro opposizione e neppure annullarsi a vicenda. "Vedova -scrive- è sempre immerso in un dialogo intenso. Anche la sua pittura è dialogo. È una continua disputa provocatoria con la contraddizione in lui stesso nascosta e che preme per emergere e manifestarsi. La sua pittura è un'appassionata lotta contro l'avversario dietro la tela che nel più accanito contrasto del sì e del no, del bene e del male, del bianco e del nero, dovrà essere costretto a pronunciarsi. La tela, come una membrana nel mezzo della disputa, registra il corso della contesa. Tutta questa azione pittorica tende costantemente alla comunicazione: discussione, protesta, ma anche diario, documento, lettera aperta" (W. Haftmann, Su Emilio Vedova, 1960, cit. in cat. mostra Vedova 1935-1984, Venezia 1984, p. 90). La pittura di Vedova richiede quindi, secondo Haftmann, una presa di posizione, una scelta di campo in una battaglia ininterrotta, simboleggiata dal contrasto tra luci e ombre.
Da questi brani emerge chiaramente come la lettura dei dipinti di Vedova non possa mai limitarsi ai soli aspetti formali; questi sono solo il veicolo della domanda di partecipazione emotiva e umana che proviene dall'artista. Sempre Haftmann conclude infatti che: "non si tratta di questioni costruttive, dei mezzi e dei loro aprioristici limiti, di rapporti più o meno armoniosi nell'organismo formale: questi problemi di ordine compositivo restano al di fuori. Si tratta quasi esclusivamente del contenuto, dello scontro tra situazioni contraddicenti in un preciso momento dell'esistenza umana, del loro scardinamento, del continuo conflitto fra la volontà etica e la realtà della vita contemporanea, dell'inquietudine e delle non assopite passioni [...] La sua posizione umana tende alla rivolta e alla protesta e spesso si compie nella profezia. Emilio Vedova è uno dei pochi pittori di mia conoscenza che in modo incondizionato intendono la loro pittura come puro mezzo comunicativo, per dare attraverso di essa testimonianza delle agitazioni corrispondenti al loro vivere presente. La sua pittura non ha intenti estetici, ma esclusivamente espressivi" (W. Haftmann, Su Emilio Vedova, 1960, cit. in cat. mostra Vedova 1935-1984, Venezia 1984, p. 90).
La lettura dei testi che Haftmann e Read scrivono in quel periodo a commento dell'opera di Vedova è illuminante, sia per misurare il riconoscimento internazionale di cui già godeva l'artista appena quarantenne, sia per la comprensione approfondita di opere come il dipinto che presentiamo.
L'analisi di Herbert Read, che pure privilegia gli aspetti formali della ricerca di Vedova, si conclude sottolineando il carattere umanamente impegnato della ricerca di Vedova, che impone di analizzare la sua opera utilizzando la categoria del sublime. Di fronte ai suoi dipinti, infatti: "non si può parlare di bellezza, serenità o piacere (come non si può parlare di cose simili di fronte alla Crocifissione di Grünewald&i): parliamo di pietà, terrore e catarsi. Vedova è tra gli artisti più tragici della nostra epoca: è su questo piano del sublime che dobbiamo discutere la sua opera e riconoscerne la forza catartica" (H. Read, Emilio Vedova, 1962, cit. in cat. mostra Vedova 1935-1984, Venezia 1984, p. 154).
Werner Haftmann, che parla del "mio amico" Vedova, mette l'accento sul dualismo conflittuale, sulla contrapposizione tra estremi opposti messa in scena dalla pittura del maestro veneziano; secondo lui la pittura di Vedova si nutre del confronto e del dialogo tra posizioni (artistiche, umane, politiche, morali) contrastanti, che non possono ignorare la loro opposizione e neppure annullarsi a vicenda. "Vedova -scrive- è sempre immerso in un dialogo intenso. Anche la sua pittura è dialogo. È una continua disputa provocatoria con la contraddizione in lui stesso nascosta e che preme per emergere e manifestarsi. La sua pittura è un'appassionata lotta contro l'avversario dietro la tela che nel più accanito contrasto del sì e del no, del bene e del male, del bianco e del nero, dovrà essere costretto a pronunciarsi. La tela, come una membrana nel mezzo della disputa, registra il corso della contesa. Tutta questa azione pittorica tende costantemente alla comunicazione: discussione, protesta, ma anche diario, documento, lettera aperta" (W. Haftmann, Su Emilio Vedova, 1960, cit. in cat. mostra Vedova 1935-1984, Venezia 1984, p. 90). La pittura di Vedova richiede quindi, secondo Haftmann, una presa di posizione, una scelta di campo in una battaglia ininterrotta, simboleggiata dal contrasto tra luci e ombre.
Da questi brani emerge chiaramente come la lettura dei dipinti di Vedova non possa mai limitarsi ai soli aspetti formali; questi sono solo il veicolo della domanda di partecipazione emotiva e umana che proviene dall'artista. Sempre Haftmann conclude infatti che: "non si tratta di questioni costruttive, dei mezzi e dei loro aprioristici limiti, di rapporti più o meno armoniosi nell'organismo formale: questi problemi di ordine compositivo restano al di fuori. Si tratta quasi esclusivamente del contenuto, dello scontro tra situazioni contraddicenti in un preciso momento dell'esistenza umana, del loro scardinamento, del continuo conflitto fra la volontà etica e la realtà della vita contemporanea, dell'inquietudine e delle non assopite passioni [...] La sua posizione umana tende alla rivolta e alla protesta e spesso si compie nella profezia. Emilio Vedova è uno dei pochi pittori di mia conoscenza che in modo incondizionato intendono la loro pittura come puro mezzo comunicativo, per dare attraverso di essa testimonianza delle agitazioni corrispondenti al loro vivere presente. La sua pittura non ha intenti estetici, ma esclusivamente espressivi" (W. Haftmann, Su Emilio Vedova, 1960, cit. in cat. mostra Vedova 1935-1984, Venezia 1984, p. 90).