Lot Essay
Gli anni intorno al 1940 sono difficilissimi per Morandi. Pur godendo già di una grande notorietà e del sostegno di alcuni critici e intellettuali di grandissimo rilievo, la sua naturale ritrosia e la mancata ostentazione di fedeltà al regime fascista (e probabilmente anche la sua apertura, sgradita in un clima autarchico, alla pittura internazionale) lo rendono sospetto e spingono il mondo della cultura ufficiale a emarginarlo. Valga come esempio la stroncatura del gerarca Farinacci, che lo deride per aver ingombrato le sue nature morte "borghesi" e "parigine" di bottiglie polverose "tirate giù dalla soffitta". Morandi si allontana quindi ancor più dalla vita pubblica e si ritira nel suo universo fatto di pura pittura. Lo scoppio della guerra intensificherà ulteriormente questo distacco, ma per reazione la pittura di Morandi assurge in questo periodo a livelli altissimi. Straordinari momenti di poesia e creazioni pittoriche sublimi contrastano l'orrore e la mediocrità che circondano l'artista.
Negli anni del ventennio fascista, un fondamentale appoggio all'artista arriva da Roberto Longhi, il quale gli offre non solo sostegno morale, ma propone in quel periodo delle chiavi di lettura della sua opera tuttora insuperate. Coetaneo di Morandi, egli poteva vantare una sintonia fortissima col maestro bolognese avendo attraversato -non da creatore, ovviamente, ma da interprete- le stesse esperienze culturali e artistiche, a partire da Futurismo, Metafisica e Valori Plastici. Il sodalizio tra i due copre esattamente un trentennio, da quando nel 1934 Longhi conclude la prolusione al suo primo corso di Storia dell'Arte all'Università di Bologna facendo culminare sei secoli di arte bolognese proprio con l'opera di Morandi, fino al 1964 quando, nel suo scritto Exit Morandi il critico saluta l'artista appena scomparso con affetto e commozione, stupito dal fatto che la serie dei dipinti morandiani debba interrompersi.
A proposito delle nature morte morandiane, Longhi parlava di 'elegia luminosa', coniando così una delle migliori definizioni della pittura dell'artista bolognese. Sul ruolo della luce in Morandi la critica ha a lungo insistito. Una luminosità diffusa, intrinseca agli oggetti e all'ambiente può essere considerata il vero soggetto della pittura di Morandi. Bottiglie, brocche e vasetti, scelti forse proprio per la loro insignificanza drammatica e narrativa, diventano pretesti per una riflessione sul posarsi della luce sugli oggetti e sulla conseguente trascrizione pittorica. Questa interpretazione della pittura appare con grande evidenza nell'opera che presentiamo: una natura morta affollata di oggetti appoggiati su un piano è immersa in una luce soffusa e tranquilla. I passaggi di tono sono tenui e la stesura lenta e meditata; per Morandi è necessario che gli oggetti che ha di fronte siano immobili, e che il passare del tempo non lasci segni su di essi tranne il deposito della polvere, che ammorbidisce ulteriormente i contrasti. Questa immutabilità gli offre la possibilità di riflettere; Morandi deve poter scrutare, analizzare in profondità le cose e restituirne l'intima luminosità; le sue nature morte avrebbero potuto nascere soltanto nella calma e nell'isolamento dello studio.
In quest'opera risulta poi evidente un altro dei caratteri ricorrenti nei dipinti dell'artista, le ombre colorate. L'ombra non corrisponde in Morandi all'assenza di luce ma è provvista di una inspiegabile luminosità, che la rende una delle possibili forme di manifestazione del fenomeno luminoso, una sua variazione.
Il concetto di variazione ci riporta al primo termine della illuminante definzione longhiana: l'elegia. Nell'accezione moderna, l'elegia è un componimento poetico intimo e raccolto, ispirato da sentimenti di mestizia e malinconia. Questa definizione sicuramente descrive bene l'atmosfera del dipinto. Ma è noto che la scrittura raffinata, un lessico innovativo ma rigoroso, la scelta sapientissima dei vocaboli costituiscono il cuore della critica longhiana. Egli non poteva certo ignorare la definizione classica di elegia, relativa non all'umore del componimento, ma al metro. L'elegia era composta da un esametro e un pentametro accoppiati, un'alternanza che introduceva asimmetrie e variazioni in uno schema fisso, il che corrisponde perfettamente al procedere di Morandi. All'interno di un sistema di soggetti sempre ripetuti, la forza dei dipinti di Morandi sta nel riuscire a combinare pochi elementi in modi sempre diversi e sorprendenti. Questo dipinto, governato da una costruzione ritmica inesorabile e garbata, ne è la dimostrazione più evidente.
La disposizione delle bottiglie è, pur in uno spazio molto limitato, sapientemente variata così come il loro profilo. Alcune sono leggermente più avanzate, altre arretrano, il contorno non è mai perfettamente simmetrico, evitando ogni rigidezza. Gli oggetti dialogano sommessamente tra loro, si alternano e si corrispondono conservando la loro individualità: alla prima bottiglia sulla sinistra segue un piccolo gruppo che comprende il vaso, diverso dagli altri per colore e forma; nella metà destra le due bottiglie simili si distinguono per intensità luminosa e avanzamento sul piano d'appoggio.
Quest'ultimo, visto da una prospettiva molto ribassata forma una prima fascia inferiore; una seconda fascia più larga ospita i corpi delle bottiglie, mentre i colli si sviluppano nella fascia superiore. Qui appare finalmente visibile una porzione dello sfondo, la quale apre verso la profondità una composizione altrimenti tutta proiettata sul primo piano. Questa complessità compositiva, assieme alla luminosità sommessa e ai toni bilanciati, contraddetti solo dal rosso mattone della vasetto centrale, costituiscono i principali motivi di fascino di questo straordinario dipinto.
Negli anni del ventennio fascista, un fondamentale appoggio all'artista arriva da Roberto Longhi, il quale gli offre non solo sostegno morale, ma propone in quel periodo delle chiavi di lettura della sua opera tuttora insuperate. Coetaneo di Morandi, egli poteva vantare una sintonia fortissima col maestro bolognese avendo attraversato -non da creatore, ovviamente, ma da interprete- le stesse esperienze culturali e artistiche, a partire da Futurismo, Metafisica e Valori Plastici. Il sodalizio tra i due copre esattamente un trentennio, da quando nel 1934 Longhi conclude la prolusione al suo primo corso di Storia dell'Arte all'Università di Bologna facendo culminare sei secoli di arte bolognese proprio con l'opera di Morandi, fino al 1964 quando, nel suo scritto Exit Morandi il critico saluta l'artista appena scomparso con affetto e commozione, stupito dal fatto che la serie dei dipinti morandiani debba interrompersi.
A proposito delle nature morte morandiane, Longhi parlava di 'elegia luminosa', coniando così una delle migliori definizioni della pittura dell'artista bolognese. Sul ruolo della luce in Morandi la critica ha a lungo insistito. Una luminosità diffusa, intrinseca agli oggetti e all'ambiente può essere considerata il vero soggetto della pittura di Morandi. Bottiglie, brocche e vasetti, scelti forse proprio per la loro insignificanza drammatica e narrativa, diventano pretesti per una riflessione sul posarsi della luce sugli oggetti e sulla conseguente trascrizione pittorica. Questa interpretazione della pittura appare con grande evidenza nell'opera che presentiamo: una natura morta affollata di oggetti appoggiati su un piano è immersa in una luce soffusa e tranquilla. I passaggi di tono sono tenui e la stesura lenta e meditata; per Morandi è necessario che gli oggetti che ha di fronte siano immobili, e che il passare del tempo non lasci segni su di essi tranne il deposito della polvere, che ammorbidisce ulteriormente i contrasti. Questa immutabilità gli offre la possibilità di riflettere; Morandi deve poter scrutare, analizzare in profondità le cose e restituirne l'intima luminosità; le sue nature morte avrebbero potuto nascere soltanto nella calma e nell'isolamento dello studio.
In quest'opera risulta poi evidente un altro dei caratteri ricorrenti nei dipinti dell'artista, le ombre colorate. L'ombra non corrisponde in Morandi all'assenza di luce ma è provvista di una inspiegabile luminosità, che la rende una delle possibili forme di manifestazione del fenomeno luminoso, una sua variazione.
Il concetto di variazione ci riporta al primo termine della illuminante definzione longhiana: l'elegia. Nell'accezione moderna, l'elegia è un componimento poetico intimo e raccolto, ispirato da sentimenti di mestizia e malinconia. Questa definizione sicuramente descrive bene l'atmosfera del dipinto. Ma è noto che la scrittura raffinata, un lessico innovativo ma rigoroso, la scelta sapientissima dei vocaboli costituiscono il cuore della critica longhiana. Egli non poteva certo ignorare la definizione classica di elegia, relativa non all'umore del componimento, ma al metro. L'elegia era composta da un esametro e un pentametro accoppiati, un'alternanza che introduceva asimmetrie e variazioni in uno schema fisso, il che corrisponde perfettamente al procedere di Morandi. All'interno di un sistema di soggetti sempre ripetuti, la forza dei dipinti di Morandi sta nel riuscire a combinare pochi elementi in modi sempre diversi e sorprendenti. Questo dipinto, governato da una costruzione ritmica inesorabile e garbata, ne è la dimostrazione più evidente.
La disposizione delle bottiglie è, pur in uno spazio molto limitato, sapientemente variata così come il loro profilo. Alcune sono leggermente più avanzate, altre arretrano, il contorno non è mai perfettamente simmetrico, evitando ogni rigidezza. Gli oggetti dialogano sommessamente tra loro, si alternano e si corrispondono conservando la loro individualità: alla prima bottiglia sulla sinistra segue un piccolo gruppo che comprende il vaso, diverso dagli altri per colore e forma; nella metà destra le due bottiglie simili si distinguono per intensità luminosa e avanzamento sul piano d'appoggio.
Quest'ultimo, visto da una prospettiva molto ribassata forma una prima fascia inferiore; una seconda fascia più larga ospita i corpi delle bottiglie, mentre i colli si sviluppano nella fascia superiore. Qui appare finalmente visibile una porzione dello sfondo, la quale apre verso la profondità una composizione altrimenti tutta proiettata sul primo piano. Questa complessità compositiva, assieme alla luminosità sommessa e ai toni bilanciati, contraddetti solo dal rosso mattone della vasetto centrale, costituiscono i principali motivi di fascino di questo straordinario dipinto.