Lot Essay
Secondo una definizione data da Giorgio de Chirico stesso, "l'opera d'arte metafisica è quanto all'aspetto serena; da però l'impressione che qualcosa di nuovo debba accadere in quella stessa serenità e altri segni, oltre quelli già palesi, debbano subentrare sul quadrato della tela".
L'atmosfera tipica dei dipinti metafisici è dunque quella di sospensione, di attesa di un evento incombente e misterioso. Tutta la carriera artistica di Giorgio de Chirico è segnata dal ricorrere di questa ossessione metafisica; la presenza quotidiana degli oggetti è per lui sempre accompagnata da una dimensione inquietante e misteriosa. Ancora l'artista scrive infatti nel 1919: "si può concludere che ogni cosa abbia due aspetti: uno corrente, che vediamo quasi sempre e che vedono gli uomini in generale, l'altro lo spettrale o metafisico che non possono vedere che rari individui in momenti di chiaroveggenza o di astrazione metafisica". Il ruolo dell'artista diventa per lui quello di vate, di oracolo: anche se la sua attività non rivela i misteri né chiarisce gli enigmi, partecipa però alla loro evocazione. "Et quindi amabo nisi quod aenigma est ("E che cosa amerò se non ciò che è un enigma?") è non a caso il motto che accompagna un celebre autoritratto di de Chirico.
Gli oggetti accatastati (si direbbero squadre, strumento della razionalità e della misurazione) appaiono a prima vista descritti fedelmente e realisticamente ma, come è caratteristico nei dipinti più riusciti di de Chirico, la prima identificazione non regge un'analisi approfondita. La funzione precisa degli oggetti, i rapporti tra loro e tra le parti che li costituiscono, i motivi della loro presenza nel luogo rappresentato, perfino la loro sterometria e le ombre proiettate appaiono inspiegabili. La composizione culmina in una tavola centrale, di difficile definizione anch'essa, su cui si reggono, misteriosamente attaccati, due biscotti la cui apparizione è il punto più altro dell'insondabile mistero di questo dipinto.
Spazialità e temporalità ambigue e spaesanti sono ricorrenti nelle opere metafisiche. Nel dipinto che presentiamo, ad esempio, l'impaginazione spaziale appare come la reale protagonista. La composizione è totalmente asimmetrica: affollata sulla sinistra si mantiene libera sulla destra; le distinzioni tra il primo piano, lo spazio immediatamente retrostante e lo sfondo sono incerte e contraddittorie rendendo ancora più inquietante e destabilizzante la lettura del dipinto. La prospettiva porta le linee a convergere precipitosamente verso lo sfondo, mentre il piano di appoggio è pericolosamente inclinato, come in Il cattivo genio di un re del Museum of Modern Art di New York o in Il pomeriggio gentile ora la Museo Peggy Guggenheim a Venezia. La mancanza di un appoggio stabile e sicuro è parallela all'assenza di appoggi razionali nell'interpretazione della scena.
Per quanto riguarda la collocazione temporale, è volontà dell'artista non fornire nessuna indicazione sull'epoca in cui la scena rappresentata è ambientata. Potrebbe essere un remoto passato, il presente, un lontano futuro, o nessuno di questi. L'arte metafisica aspira infatti a costruire un universo atemporale, senza relazione con la realtà quotidiana. Anche in questo la posizione di de Chirico è opposta rispetto a quella dei futuristi o dei cubisti: l'artista non deve né calarsi nella storia né essere in rapporto il suo tempo; deve, al contrario, stringere legami e intessere un dialogo solo con la grande arte del passato. Egli infatti non è responsabile nei confronti della storia, ma solo della tradizione della pittura, una infinita ed eterna catena di cui egli costituisce un anello.
L'atmosfera tipica dei dipinti metafisici è dunque quella di sospensione, di attesa di un evento incombente e misterioso. Tutta la carriera artistica di Giorgio de Chirico è segnata dal ricorrere di questa ossessione metafisica; la presenza quotidiana degli oggetti è per lui sempre accompagnata da una dimensione inquietante e misteriosa. Ancora l'artista scrive infatti nel 1919: "si può concludere che ogni cosa abbia due aspetti: uno corrente, che vediamo quasi sempre e che vedono gli uomini in generale, l'altro lo spettrale o metafisico che non possono vedere che rari individui in momenti di chiaroveggenza o di astrazione metafisica". Il ruolo dell'artista diventa per lui quello di vate, di oracolo: anche se la sua attività non rivela i misteri né chiarisce gli enigmi, partecipa però alla loro evocazione. "Et quindi amabo nisi quod aenigma est ("E che cosa amerò se non ciò che è un enigma?") è non a caso il motto che accompagna un celebre autoritratto di de Chirico.
Gli oggetti accatastati (si direbbero squadre, strumento della razionalità e della misurazione) appaiono a prima vista descritti fedelmente e realisticamente ma, come è caratteristico nei dipinti più riusciti di de Chirico, la prima identificazione non regge un'analisi approfondita. La funzione precisa degli oggetti, i rapporti tra loro e tra le parti che li costituiscono, i motivi della loro presenza nel luogo rappresentato, perfino la loro sterometria e le ombre proiettate appaiono inspiegabili. La composizione culmina in una tavola centrale, di difficile definizione anch'essa, su cui si reggono, misteriosamente attaccati, due biscotti la cui apparizione è il punto più altro dell'insondabile mistero di questo dipinto.
Spazialità e temporalità ambigue e spaesanti sono ricorrenti nelle opere metafisiche. Nel dipinto che presentiamo, ad esempio, l'impaginazione spaziale appare come la reale protagonista. La composizione è totalmente asimmetrica: affollata sulla sinistra si mantiene libera sulla destra; le distinzioni tra il primo piano, lo spazio immediatamente retrostante e lo sfondo sono incerte e contraddittorie rendendo ancora più inquietante e destabilizzante la lettura del dipinto. La prospettiva porta le linee a convergere precipitosamente verso lo sfondo, mentre il piano di appoggio è pericolosamente inclinato, come in Il cattivo genio di un re del Museum of Modern Art di New York o in Il pomeriggio gentile ora la Museo Peggy Guggenheim a Venezia. La mancanza di un appoggio stabile e sicuro è parallela all'assenza di appoggi razionali nell'interpretazione della scena.
Per quanto riguarda la collocazione temporale, è volontà dell'artista non fornire nessuna indicazione sull'epoca in cui la scena rappresentata è ambientata. Potrebbe essere un remoto passato, il presente, un lontano futuro, o nessuno di questi. L'arte metafisica aspira infatti a costruire un universo atemporale, senza relazione con la realtà quotidiana. Anche in questo la posizione di de Chirico è opposta rispetto a quella dei futuristi o dei cubisti: l'artista non deve né calarsi nella storia né essere in rapporto il suo tempo; deve, al contrario, stringere legami e intessere un dialogo solo con la grande arte del passato. Egli infatti non è responsabile nei confronti della storia, ma solo della tradizione della pittura, una infinita ed eterna catena di cui egli costituisce un anello.