Lot Essay
Giuseppe Capogrossi arriva alla pittura astratta quasi cinquantenne, rinnovando totalmente il suo linguaggio quando già è al culmine di una carriera artistica come pittore figurativo. Protagonista negli anni Trenta e nei primi Quaranta della cosiddetta "Scuola Romana" approda dopo la guerra, con una svolta repentina, a una pittura di segno. La sua ricerca non ignora quindi la pittura figurativa ma, al contrario, la supera dialetticamente. Dopo aver dato prova di una grande raffinatezza nella figurazione e averne saggiato i limiti, decide di operare una semplificazione e una riduzione al fine di arrivare direttamente al cuore della pittura, concentrandosi sui problemi che ne costituiscono l'essenza. L'uso di un elemento sempre ripetuto, la classica forchettina, elimina alla radice il problema del soggetto e gli impone di concentrarsi sul colore e la composizione.
Giulio Carlo Argan, il critico che lo ha seguito più da vicino e che ne ha più profondamente ed efficacemente intepretato l'opera, ha intuito che il suo segno è "una struttura costante con valenze plurime". Si tratterebbe in sostanza di una unità elementare che, ripetendosi e moltiplicandosi, rende possibile qualunque struttura compositiva, permettendo all'autore il massimo della libertà. Il suo segno è come il mattone in architettura o in un gioco di costruzioni: pur essendo ogni elemento uguale all'altro le realizzazioni possibili sono infinite. Anziché essere una costrizione, la ripetizione diventa così un inno alle infinite possibilità compositive; il segno trova nelle illimitate combinazioni e variazioni possibili la via per rendersi imprevedibile.
Questo è dimostrato con grande chiarezza dal'analisi dei singoli dipinti dell'artista romano, ognuno dei quali è differente e riconoscibile, ha una propria fisionomia e quasi una sua personalità. Nel dipinto che presentiamo, la composizione è divisa in quattro settori più o meno equivalenti: i due di sinistra dominati da elementi più grandi, quelli di destra più liberi e movimentati. La particolarità di questo dipinto, giocato su un accordo bicromo di campiture uniformi gialle e nere inquadrate da una cornice bianca, risiede nella perfetta intercambiabilità di sfondo e immagine. Le forchettine appaiono sia in giallo proiettate sul fondo nero sia viceversa. L'immersione nella purezza dei colori è assoluta, favorita dal respiro monumentale; Capogrossi si esprime qui nella grande dimensione e questo, unito alla qualità museale della pittura, accosta Superficie 382 ai più importanti esempi della pittura del maestro in collezioni pubbliche e private.
Giulio Carlo Argan, il critico che lo ha seguito più da vicino e che ne ha più profondamente ed efficacemente intepretato l'opera, ha intuito che il suo segno è "una struttura costante con valenze plurime". Si tratterebbe in sostanza di una unità elementare che, ripetendosi e moltiplicandosi, rende possibile qualunque struttura compositiva, permettendo all'autore il massimo della libertà. Il suo segno è come il mattone in architettura o in un gioco di costruzioni: pur essendo ogni elemento uguale all'altro le realizzazioni possibili sono infinite. Anziché essere una costrizione, la ripetizione diventa così un inno alle infinite possibilità compositive; il segno trova nelle illimitate combinazioni e variazioni possibili la via per rendersi imprevedibile.
Questo è dimostrato con grande chiarezza dal'analisi dei singoli dipinti dell'artista romano, ognuno dei quali è differente e riconoscibile, ha una propria fisionomia e quasi una sua personalità. Nel dipinto che presentiamo, la composizione è divisa in quattro settori più o meno equivalenti: i due di sinistra dominati da elementi più grandi, quelli di destra più liberi e movimentati. La particolarità di questo dipinto, giocato su un accordo bicromo di campiture uniformi gialle e nere inquadrate da una cornice bianca, risiede nella perfetta intercambiabilità di sfondo e immagine. Le forchettine appaiono sia in giallo proiettate sul fondo nero sia viceversa. L'immersione nella purezza dei colori è assoluta, favorita dal respiro monumentale; Capogrossi si esprime qui nella grande dimensione e questo, unito alla qualità museale della pittura, accosta Superficie 382 ai più importanti esempi della pittura del maestro in collezioni pubbliche e private.