Lot Essay
Osvaldo Licini, nato a Monte Vidon Corrado nel 1894, dopo alcuni sporadici contatti giovanili con le avanguardie e un periodo realista culminato nella partecipazione nel 1926 alla prima mostra del Novecento italiano si converte nel 1930 a una poetica decisamente astratta. Si trova così, quasi inevitabilmente, a far parte di un gruppo di astrattisti che, radunati attorno alla Galleria del Milione, rappresentano nell'Italia dell'epoca una fondamentale apertura alle più innovative esperienze internazionali. Di quel gruppo fanno parte Reggiani, Soldati e Veronesi, più legati a un'astrazione geometrica, ma anche Fontana e Melotti che, insieme a Licini rappresenteranno l'ala più libera dell'astrazione lasciando spazio a forme organiche e a movenze liriche. Le sperimentazioni del gruppo del Milione risultano troppo avanzate per il clima culturale dell'epoca e troveranno seguito presso un pubblico estremamente ristretto; la carica innovativa di questi artisti sarà riconosciuta negli anni Cinquanta, in cui saranno celebrati come maestri e capiscuola.
Per Licini (così come per Melotti) non c'è frattura, ma continuità, tra astrazione geometrica e liberi arabeschi lirici; i due differenti filoni vengono coltivati contemporaneamente dall'artista lungo tutto il corso degli anni Cinquanta in opere straordinarie. La serie di dipinti in cui però meglio emerge l'inconfondibile scrittura liciniana e la magia dei suoi colori profondi è quello delle Amalassunte. L'opera che presentiamo è parte di un ciclo di 9 Amalassunte esposte nel 1950 alla Biennale di Venezia. L'artista, parlando della sua presenza all'inaugurazione della mostra veneziana di quell'anno, scrive a Giuseppe Marchiori, critico affermato ma soprattutto amico e principale interprete: "Ma se dovessi mancare e qualche anima curiosa dovesse rivolgersi proprio a Lei... per sapere chi è questa misteriosa Amalassunta di cui tanto ancora non si parla, risponda pure a mio nome, senza ombra di dubbio sorridendo, che Amalassunta è la luna nostra bella, garantita d'argento per l'eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco" (cit. in G. Marchiori, I cieli segreti di Osvaldo Licini, Venezia 1968, p. 26).
In queste opere l'artista si rivela così osservatore instancabile di cieli popolati da falci di luna che si trasformano in volti di donna; Licini si abbandona alle suggestioni dell'inconscio elaborando in un linguaggio personale le indicazioni di Klee e Miró, dando prova ancora una volta della sua apertura internazionale e della sua cultura aggiornatissima. Nelle amalassunte il segno apparentemente incerto rende vive ed espressive le figure esprimendo lo scomparire della fiducia in un ordine razionale della realtà. Rimane un clima di nostalgia meditabonda e solitaria che ha reso le rare opere dell'artista così ricercate dai collezionisti.
Per Licini (così come per Melotti) non c'è frattura, ma continuità, tra astrazione geometrica e liberi arabeschi lirici; i due differenti filoni vengono coltivati contemporaneamente dall'artista lungo tutto il corso degli anni Cinquanta in opere straordinarie. La serie di dipinti in cui però meglio emerge l'inconfondibile scrittura liciniana e la magia dei suoi colori profondi è quello delle Amalassunte. L'opera che presentiamo è parte di un ciclo di 9 Amalassunte esposte nel 1950 alla Biennale di Venezia. L'artista, parlando della sua presenza all'inaugurazione della mostra veneziana di quell'anno, scrive a Giuseppe Marchiori, critico affermato ma soprattutto amico e principale interprete: "Ma se dovessi mancare e qualche anima curiosa dovesse rivolgersi proprio a Lei... per sapere chi è questa misteriosa Amalassunta di cui tanto ancora non si parla, risponda pure a mio nome, senza ombra di dubbio sorridendo, che Amalassunta è la luna nostra bella, garantita d'argento per l'eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco" (cit. in G. Marchiori, I cieli segreti di Osvaldo Licini, Venezia 1968, p. 26).
In queste opere l'artista si rivela così osservatore instancabile di cieli popolati da falci di luna che si trasformano in volti di donna; Licini si abbandona alle suggestioni dell'inconscio elaborando in un linguaggio personale le indicazioni di Klee e Miró, dando prova ancora una volta della sua apertura internazionale e della sua cultura aggiornatissima. Nelle amalassunte il segno apparentemente incerto rende vive ed espressive le figure esprimendo lo scomparire della fiducia in un ordine razionale della realtà. Rimane un clima di nostalgia meditabonda e solitaria che ha reso le rare opere dell'artista così ricercate dai collezionisti.