Lot Essay
Il movimento della tela creato dall'alternanza di luci e ombre sulla superficie in rilievo è l'apice della produzione di Enrico Castellani, l'innovazione che l'ha reso celebre nel panorama artistico italiano e internazionale del Dopoguerra.
Castellani si colloca in una dimensione intermedia tra pittura e scultura. Non è più la pennellata a modellare la superficie, ma elementi strutturali quali i chiodi. La tela passa da supporto a essenza stessa dell'opera, l'alternarsi di pieni e vuoti fan vibrare la superficie.
Castellani sviluppa le sue intuizioni mantenendosi coerente all'interno del suo percorso che attraversa i decenni fino al raggiungimento di un pieno e sapiente coinvolgimento estetico.
In Superficie bianca le estroflessioni si ripetono e spaziano fino alle estremità della superficie dipinta. Lo sguardo è spinto in più direzioni oltre i confini dell'opera verso l'infinito.
"Tutto questo processo di coscienza pittorica, senza soggetto, è tuttavia basato su un'entità: la luce. Questa illumina i rilievi, crea ombre e riflessi, appiattisce ed esalta le superfici, dà quindi esistenza al dipinto. Di conseguenza, non poteva mancare un avvicinarsi graduale di Castellani al suo splendore, attraverso il colore assoluto, il bianco che irradia, scivola e unifica le superfici e al tempo stesso funziona da registro di piena libertà. Si dilata e provoca negli elementi irradiati una modulazione di luce che porta con sé il piacere tanto della variabilità dell'ombra, quanto della luminosità pura. Ma il bianco non è soltanto luce assoluta per Castellani; esso concretizza 'una superficie bianca, vuota, è ciò che di più astratto si possa immaginare' (Castellani, 1982). In aggiunta il bianco è identità della tela allo stato primario, prototipo del nulla e del vuoto: 'la superficie diventa sempre più bianca, insomma il limite sarebbe stato la superficie non toccata'.
Il bianco è un non-colore, non offusca o filtra la luce, come i rossi o i blu, ma la esalta, per cui inevitabilmente emergerà come cromatismo vincente".
(G. Celant, Dietro il quadro: Enrico Castellani, in Enrico Castellani, Milano 2001, pp. 16-17)
Castellani si colloca in una dimensione intermedia tra pittura e scultura. Non è più la pennellata a modellare la superficie, ma elementi strutturali quali i chiodi. La tela passa da supporto a essenza stessa dell'opera, l'alternarsi di pieni e vuoti fan vibrare la superficie.
Castellani sviluppa le sue intuizioni mantenendosi coerente all'interno del suo percorso che attraversa i decenni fino al raggiungimento di un pieno e sapiente coinvolgimento estetico.
In Superficie bianca le estroflessioni si ripetono e spaziano fino alle estremità della superficie dipinta. Lo sguardo è spinto in più direzioni oltre i confini dell'opera verso l'infinito.
"Tutto questo processo di coscienza pittorica, senza soggetto, è tuttavia basato su un'entità: la luce. Questa illumina i rilievi, crea ombre e riflessi, appiattisce ed esalta le superfici, dà quindi esistenza al dipinto. Di conseguenza, non poteva mancare un avvicinarsi graduale di Castellani al suo splendore, attraverso il colore assoluto, il bianco che irradia, scivola e unifica le superfici e al tempo stesso funziona da registro di piena libertà. Si dilata e provoca negli elementi irradiati una modulazione di luce che porta con sé il piacere tanto della variabilità dell'ombra, quanto della luminosità pura. Ma il bianco non è soltanto luce assoluta per Castellani; esso concretizza 'una superficie bianca, vuota, è ciò che di più astratto si possa immaginare' (Castellani, 1982). In aggiunta il bianco è identità della tela allo stato primario, prototipo del nulla e del vuoto: 'la superficie diventa sempre più bianca, insomma il limite sarebbe stato la superficie non toccata'.
Il bianco è un non-colore, non offusca o filtra la luce, come i rossi o i blu, ma la esalta, per cui inevitabilmente emergerà come cromatismo vincente".
(G. Celant, Dietro il quadro: Enrico Castellani, in Enrico Castellani, Milano 2001, pp. 16-17)