Lot Essay
All'inizio degli anni Ottanta la pittura di Guttuso rafforza la sua nettezza oggettivata di visione, in una plasticità soda e compiuta, quasi in certo modo calligrafica, e in un cromatismo sostenuto, forte, pieno, di ricco e spiegato accento. Una nettezza che si ritrova immediatamente, per esempio, nei paesaggi urbani, che dal ravvicinato del muro di casa palermitano del 1981, si snodano nelle numerose vedute, decisamente "metropolitane" e non più di pittoresco paesano, dei tetti di Palermo, del 1982, e propongono infatti visioni nette e squadrate di volumi, ortogonalmente percepiti e ordinati, in limpide e chiare campiture cromatiche squillanti e luminose, in una sorta di pacata e goduta felicità di visione e di costruzione plastica.
E su almeno un paio di questi paesaggi si offre, in primo piano, anche una "natura morta", con una soluzione compositiva che ricorda alla lontana, ma ora del tutto appianata in una sorta di godimento contemplativo, gli oggetti profilati sul paesaggio della Suburra romana negli anni 1962/64. Un'analoga felicità di piacere pittorico della visione e della costruzione cromatica è nel breve ciclo del 1982 stesso di rocce di Ischia, la pittoresca minuta stratificazione delle quali, d'intessissimi grigi, bruni, verdi, contrasta coll'azzurro verde sostenutissimo del mare piatto, e l'intenso cielo.
Mentre le "nature morte", nella loro specifica autonomia, acquistano un'articolazione quasi monumentale, in particolare nel 1981, ma anche nel 1982, e un caso almeno nel 1983.
Queste "nature morte" sono in un certo modo pretestuali proposizioni d'oggetti, su un tavolo , in un taglio ambientale, utilizzati come un vero e proprio teatro di pura pittura; giocate come sono, tali composizioni, in particolare su tonalità di verdi. Ma altre "nature morte" sono invece più immediate, meno costruite, quasi studi singolari e più diretti, come quelle dedicate del 1981 ai tema dei "peperoncini"; attente maggiormente all'intrinseca vitalità dei corpi vegetali, in un cromatismo più affocato, nel gioco, questa volta, dei rossi. E vi si possono accostare visioni di prato d'autunno, del 1982.
Mentre ancora altre "nature morte" d'oggetti assemblati senza particolari intenti di significazione, del 1982, come anche del 1983, appaiono allora certamente di più ordinaria amministrazione immaginativa, più correnti insomma nel lavoro di Guttuso. Che invece in un caso come questo, di Foglie di nespolo e colomba, può esibire tutta la sapiente regia quasi d'un grande stile rappresentativo pittorico, nel suggerire, attraverso il motivo della finestra, un modo di coniugare idealmente natura morta e brano ravvicinato di paesaggio. (E. Crispolti, Renato Guttuso. Opere della Fondazione Francesco Pellin, Milano 2005, p. 170)
E su almeno un paio di questi paesaggi si offre, in primo piano, anche una "natura morta", con una soluzione compositiva che ricorda alla lontana, ma ora del tutto appianata in una sorta di godimento contemplativo, gli oggetti profilati sul paesaggio della Suburra romana negli anni 1962/64. Un'analoga felicità di piacere pittorico della visione e della costruzione cromatica è nel breve ciclo del 1982 stesso di rocce di Ischia, la pittoresca minuta stratificazione delle quali, d'intessissimi grigi, bruni, verdi, contrasta coll'azzurro verde sostenutissimo del mare piatto, e l'intenso cielo.
Mentre le "nature morte", nella loro specifica autonomia, acquistano un'articolazione quasi monumentale, in particolare nel 1981, ma anche nel 1982, e un caso almeno nel 1983.
Queste "nature morte" sono in un certo modo pretestuali proposizioni d'oggetti, su un tavolo , in un taglio ambientale, utilizzati come un vero e proprio teatro di pura pittura; giocate come sono, tali composizioni, in particolare su tonalità di verdi. Ma altre "nature morte" sono invece più immediate, meno costruite, quasi studi singolari e più diretti, come quelle dedicate del 1981 ai tema dei "peperoncini"; attente maggiormente all'intrinseca vitalità dei corpi vegetali, in un cromatismo più affocato, nel gioco, questa volta, dei rossi. E vi si possono accostare visioni di prato d'autunno, del 1982.
Mentre ancora altre "nature morte" d'oggetti assemblati senza particolari intenti di significazione, del 1982, come anche del 1983, appaiono allora certamente di più ordinaria amministrazione immaginativa, più correnti insomma nel lavoro di Guttuso. Che invece in un caso come questo, di Foglie di nespolo e colomba, può esibire tutta la sapiente regia quasi d'un grande stile rappresentativo pittorico, nel suggerire, attraverso il motivo della finestra, un modo di coniugare idealmente natura morta e brano ravvicinato di paesaggio. (E. Crispolti, Renato Guttuso. Opere della Fondazione Francesco Pellin, Milano 2005, p. 170)