Lot Essay
"Esistono artisti, i quali - e bisogna aggiungere malauguratamente per noi - mantengono un tale riserbo di sé e del proprio lavoro, che diviene quanto mai difficile raggiungerli e ancora di più vincere la ritrosia con cui intimidiscono chiunque voglia penetrare nello studio. Ciò, tuttavia, non avviene per orgoglio, sibbene per un eccesso di pudore nello scoprire il segreto dei propri segni; infatti, una volta varcata la soglia, qualsiasi diffidenza subito scompare ed il colloquio ha luogo con facilissima intesa.
Si doveva premettere ciò a proposito di Licini per giustificare con un affettuoso rimprovero il fatto che di lui tanto poco si sappia, tanto poco si sia scritto e visto. Pochi, per altro, hanno tentato di forzare il disagevole imbarazzo in cui Licini metteva persino i suoi estimatori, obbligati ad accontentarsi di modeste, saltuarie e frammentarie notizie. E pochi sono stati perciò coloro che l'hanno ricordato, dopo le affermazioni che lo rivelarono nel 1935 alla Galleria del Milione di Milano ed alla II Quadriennale di Roma. Ciò non di meno le sue apparizioni alle varie mostre collettive italiane e straniere, suscitavano sorpresa ed ammirazione in chi ricercava nell'arte le qualità della poesia; poiché questo si deve affermare senza indugio: Licini è un poeta, un autentico poeta, da poter stare alla pari con i maggiori del nostro tempo. Era un poeta, e quindi un pittore distinto dagli altri, nel secondo e terzo decennio del secolo, quando ancora rappresentava la natura e l'oggetto, e lo era per la finezza tonale, atmosferica, per l'essenzialità ed il rigore delle sue composizioni, che dimostravano come egli vivesse nell'intimo tanto il motivo naturale quanto quello fantastico.
(...) La rarità del discorso pittorico di Licini, però, non è tanto nella particolare lirica contemplativa che guida le sue figurazioni, pur spesso turbate da qualche brivido nella loro malinconica serenità, quanto dalla precisione del suo linguaggio, dal modo con cui trasmette i suoi inviti alla meditazione, dall'equilibrio che regola il suo 'sentire' ed il suo 'vedere'.
Quando si facciano alcuni nomi cui riferire la sua pittura - Cézanne, Braque, Kandinsky, Mondrian, Matisse, Klee - ciò avviene non certo per dichiarare che ne ha sfruttato la lezione oppure assimilato i termini stilistici, bensì per far rilevare un indirizzo alla cui origine egli ha trovato un utile confortevole richiamo. Tant'è vero che la sottile elaborazione dei suoi quadri, la severità con cui ne controlla il processo generante, la originalità di cui investe l'immagine, formano un 'unicum' dove ogni parte ha la stessa misura e la stessa intensità: sia sinuosità grafica, sia tono cromatico, sia struttura d'impaginazione e di ordinamento spaziale.
Ove si ripensi alla nostra storia pittorica di questo secolo, così povera di autentici poeti, così impacciata nelle soluzioni univoche ed esaltanti, così distaccata dagli innesti di un processo rinnovatore, non sarà difficile riconoscere a Licini il grande indiscutibile merito d'aver legato a sé uno dei più meravigliosi contributi che poteva dare alla nostra ansia di poesia ed al nostro desiderio di essere partecipi d'una cultura che di quella poesia fosse durevolmente nutrita".
(U. Apollonio, Osvaldo Licini, saggio introduttivo alla XXIX Biennale Internazionale d'Arte, Venezia 1958)
Si doveva premettere ciò a proposito di Licini per giustificare con un affettuoso rimprovero il fatto che di lui tanto poco si sappia, tanto poco si sia scritto e visto. Pochi, per altro, hanno tentato di forzare il disagevole imbarazzo in cui Licini metteva persino i suoi estimatori, obbligati ad accontentarsi di modeste, saltuarie e frammentarie notizie. E pochi sono stati perciò coloro che l'hanno ricordato, dopo le affermazioni che lo rivelarono nel 1935 alla Galleria del Milione di Milano ed alla II Quadriennale di Roma. Ciò non di meno le sue apparizioni alle varie mostre collettive italiane e straniere, suscitavano sorpresa ed ammirazione in chi ricercava nell'arte le qualità della poesia; poiché questo si deve affermare senza indugio: Licini è un poeta, un autentico poeta, da poter stare alla pari con i maggiori del nostro tempo. Era un poeta, e quindi un pittore distinto dagli altri, nel secondo e terzo decennio del secolo, quando ancora rappresentava la natura e l'oggetto, e lo era per la finezza tonale, atmosferica, per l'essenzialità ed il rigore delle sue composizioni, che dimostravano come egli vivesse nell'intimo tanto il motivo naturale quanto quello fantastico.
(...) La rarità del discorso pittorico di Licini, però, non è tanto nella particolare lirica contemplativa che guida le sue figurazioni, pur spesso turbate da qualche brivido nella loro malinconica serenità, quanto dalla precisione del suo linguaggio, dal modo con cui trasmette i suoi inviti alla meditazione, dall'equilibrio che regola il suo 'sentire' ed il suo 'vedere'.
Quando si facciano alcuni nomi cui riferire la sua pittura - Cézanne, Braque, Kandinsky, Mondrian, Matisse, Klee - ciò avviene non certo per dichiarare che ne ha sfruttato la lezione oppure assimilato i termini stilistici, bensì per far rilevare un indirizzo alla cui origine egli ha trovato un utile confortevole richiamo. Tant'è vero che la sottile elaborazione dei suoi quadri, la severità con cui ne controlla il processo generante, la originalità di cui investe l'immagine, formano un 'unicum' dove ogni parte ha la stessa misura e la stessa intensità: sia sinuosità grafica, sia tono cromatico, sia struttura d'impaginazione e di ordinamento spaziale.
Ove si ripensi alla nostra storia pittorica di questo secolo, così povera di autentici poeti, così impacciata nelle soluzioni univoche ed esaltanti, così distaccata dagli innesti di un processo rinnovatore, non sarà difficile riconoscere a Licini il grande indiscutibile merito d'aver legato a sé uno dei più meravigliosi contributi che poteva dare alla nostra ansia di poesia ed al nostro desiderio di essere partecipi d'una cultura che di quella poesia fosse durevolmente nutrita".
(U. Apollonio, Osvaldo Licini, saggio introduttivo alla XXIX Biennale Internazionale d'Arte, Venezia 1958)