Lot Essay
Proveniente da una storica collezione privata italiana e acquisito presso la Galleria Santo Stefano di Venezia dal padre dell'attuale proprietario - de Chirico presente, essendoci tra il pictor optimus e il grande collezionista rapporti di amicizia stima reciproca - l'opera I giocattoli del re si ispira al famoso quadro del 1914 e costituisce un'occasione unica per ammirare uno dei soggetti iconograficamente più interessanti della produzione dechirichiana. La potenza evocativa di questa immagine-simbolo si ritrova freschissima ed intensa in questa versione, datata 1966 circa, mai apparsa in precedenza sul mercato.
"Il movimento delle cose è perenne: è il trascorrere, l'infinito slittare delle cose per noi, delle manifestazioni del mondo in cui siamo immersi. Del resto, 'a chi discende nello stesso fiume sopraggiungono acque sempre nuove' recita un altro celebre frammento del filosofo amato da de Chirico (Eraclito). La 'cosa', questo qualcosa di misterioso, non la rincontreremo allo stesso modo. L'abitudine tende ad omologarla, a farci vedere e vivere l'uovo o il biscotto come qualcosa che si mangia, e subito non è più. Attraverso la pittura, l'artista ci obbliga a rivedere il diritto e il rovescio delle cose: e i tanti rovesci che si rovesciano l'uno nell'altro. La difficoltà sta sempre nel mantenere l'uno insieme con gli altri: l'opera dechirichiana ci costringe a questo impegnativo ed eccitante esercizio di strabismo, ci obbliga al triplo carpiato di una visione moltiplicata.
L'arte di de Chirico, si è detto, ci costringe a ripensare le cose del mondo: un'altra volta. A sospenderne la logica abituale, a considerarle non naturali. È l'artista stesso del resto a concettualizzarlo: 'Quale sarà lo scopo della pittura dell'avvenire? Lo stesso della poesia, della musica e della filosofia. Dare delle sensazioni sconosciute fino a quel momento. Spogliare l'arte di tutto ciò che ancora contiene di routine, di regola [...] Vedere tutto, anche l'uomo, come casa. È il metodo nietzscheano. Applicato alla pittura potrebbe dare risultati straordinari. È ciò che cerco di fare con i miei quadri' (in G. de Chirico, Scritti/I (1911-1945), Milano 2008, p. 495).
L'arte dechirichiana non ambisce a rifare la natura ma a essere la natura: nel suo formarsi, nel suo gioco continuo di materiali, luce, cromatismi in una corsa inesausta verso possibili significazioni, l'arte sgorga sulla tela come un organismo autonomo, vive di una vita propria: l'arte diventa natura in quanto forza creatrice.
Ecco perché l'artista ha sempre come assillo la pienezza delle cose: il mondo sta davanti a lui, svelato ed evidente, eppure è proprio questa visibilità totale a custodirne il segreto. Dichiara il Pictor Optimus: 'Nell'arte, che è un prodotto del genio, la forma mostra, ancora in modo più evidente di quanto lo faccia nella natura, il mistero della creazione' e ribadisce: 'L'arte è composta di elementi concreti e astratti ed è legata tanto al mondo fisico quanto al mondo metafisico, ci vuol dire che l'arte rappresenta la creazione più completa che noi conosciamo' (in G. de Chirico, Scritti/I (1911-1945), Milano 2008, p. 495).
L'arte dechirichiana realizza questo turbamento di visioni nuove: tra le cose consuete apre la breccia all'ignoto, all'inquietante stupore per il mondo sempre ricominciato, avviando un flusso incessante di domande, e nessuna soluzione definitiva".
(S. D'Angelosante, Ama nascondersi, in La natura secondo de Chirico, Milano 2010, cat. mostra a Milano, Palazzo delle Esposizioni, p. 168-169)
"Il movimento delle cose è perenne: è il trascorrere, l'infinito slittare delle cose per noi, delle manifestazioni del mondo in cui siamo immersi. Del resto, 'a chi discende nello stesso fiume sopraggiungono acque sempre nuove' recita un altro celebre frammento del filosofo amato da de Chirico (Eraclito). La 'cosa', questo qualcosa di misterioso, non la rincontreremo allo stesso modo. L'abitudine tende ad omologarla, a farci vedere e vivere l'uovo o il biscotto come qualcosa che si mangia, e subito non è più. Attraverso la pittura, l'artista ci obbliga a rivedere il diritto e il rovescio delle cose: e i tanti rovesci che si rovesciano l'uno nell'altro. La difficoltà sta sempre nel mantenere l'uno insieme con gli altri: l'opera dechirichiana ci costringe a questo impegnativo ed eccitante esercizio di strabismo, ci obbliga al triplo carpiato di una visione moltiplicata.
L'arte di de Chirico, si è detto, ci costringe a ripensare le cose del mondo: un'altra volta. A sospenderne la logica abituale, a considerarle non naturali. È l'artista stesso del resto a concettualizzarlo: 'Quale sarà lo scopo della pittura dell'avvenire? Lo stesso della poesia, della musica e della filosofia. Dare delle sensazioni sconosciute fino a quel momento. Spogliare l'arte di tutto ciò che ancora contiene di routine, di regola [...] Vedere tutto, anche l'uomo, come casa. È il metodo nietzscheano. Applicato alla pittura potrebbe dare risultati straordinari. È ciò che cerco di fare con i miei quadri' (in G. de Chirico, Scritti/I (1911-1945), Milano 2008, p. 495).
L'arte dechirichiana non ambisce a rifare la natura ma a essere la natura: nel suo formarsi, nel suo gioco continuo di materiali, luce, cromatismi in una corsa inesausta verso possibili significazioni, l'arte sgorga sulla tela come un organismo autonomo, vive di una vita propria: l'arte diventa natura in quanto forza creatrice.
Ecco perché l'artista ha sempre come assillo la pienezza delle cose: il mondo sta davanti a lui, svelato ed evidente, eppure è proprio questa visibilità totale a custodirne il segreto. Dichiara il Pictor Optimus: 'Nell'arte, che è un prodotto del genio, la forma mostra, ancora in modo più evidente di quanto lo faccia nella natura, il mistero della creazione' e ribadisce: 'L'arte è composta di elementi concreti e astratti ed è legata tanto al mondo fisico quanto al mondo metafisico, ci vuol dire che l'arte rappresenta la creazione più completa che noi conosciamo' (in G. de Chirico, Scritti/I (1911-1945), Milano 2008, p. 495).
L'arte dechirichiana realizza questo turbamento di visioni nuove: tra le cose consuete apre la breccia all'ignoto, all'inquietante stupore per il mondo sempre ricominciato, avviando un flusso incessante di domande, e nessuna soluzione definitiva".
(S. D'Angelosante, Ama nascondersi, in La natura secondo de Chirico, Milano 2010, cat. mostra a Milano, Palazzo delle Esposizioni, p. 168-169)