Lot Essay
"Dove risorgono, come per incanto, figuratività trapassate [...] e per tornare alle ragnatele, quell'effetto magico delle mattine d'autunno quando ogni filo è carico di goccioline di rugiada e dietro quella tela, la siepe retrostante occhieggia come dietro un diadema prezioso ancor più immateriale in quella trasparenza di quando i fili della tela erano più sottili dei capelli, né appesantiti dai festoni di rugiada."
(C. Brandi, Scritti sull'arte contemporanea, Torino 1976).
Alberto Burri comincia a realizzare a metà degli anni Cinquanta alcune opere chiamate Combustioni in cui utilizza materiali particolarmente infiammabili o sensibili all'azione del fuoco. Dapprima si serve di legno e carta, tradizionali vittime delle fiamme poi, negli anni attorno al 1958, introduce nelle sue opere fogli di materiale plastico procurando al fuoco un materiale nuovo su cui esercitare la sua potenza distruttiva.
La realizzazione di opere d'arte attraverso il processo di combustione era stato per Burri una vera e propria rivelazione. Pur senza eliminare completamente l'intervento dell'artista, la combustione che forma l'immagine e la composizione produce risultati relativamente casuali. Già i surrealisti avevano tentato di aggirare il controllo esercitato dalla coscienza e avevano ricercato dei modi, automatici e casuali, per far emergere l'inconscio attraverso la rimozione di vincoli e censure. Burri, in questa serie di opere, compie un passo ancora piu lungo, delegando l'esecuzione a un fenomeno naturale. L'artista può solo tentare di dirigere la fiamma, controllarne l'opera distruttiva, decidere quando arrestare il processo o scartare eventualmente i risultati che gli dovessero sembrare esteticamente insoddisfacenti. Il controllo totale sulla composizione, la rifinitura del dettaglio diventano però impossibili. L'abdicazione dell'artista, il suo mettersi in disparte e l'evocazione di forze naturali e incontrollabili fanno guadagnare un'immensa potenza espressiva alle opere.
Il materiale plastico è totalmente in balia del fuoco che lo piega e lo deforma a piacimento. Non vediamo il fuoco all'opera, ma le tracce del suo passaggio sono inconfondibili. La nostra paura primordiale di un elemento così potente ed incontrollabile agisce in profondità, trasformando l'energia del fuoco in energia espressiva. Non possiamo assistere alla devastazione, ma i resti visibili impongono alla nostra mente di ricostruire il processo. Siamo costretti a spostare l'attenzione dagli oggetti alle cause della loro condizione presente: queste opere ci obbligano a immaginare il fuoco in azione; la loro forza discende dallo sforzo di immaginazione richiesto.
Il fuoco rappresenta la velocità, il movimento, l'espansione immediata e furibonda, la potenza distruttiva, temi fondanti al Futurismo. L'eredità futurista è infatti imprescindibile per gli artisti contemporanei italiani; da essa hanno origine e discendono fino a Burri elementi che ritroviamo in queste opere: la rapidità nell'esecuzione, i materiali nuovissimi, l'assenza di rimandi a una tradizione pittorica accademica fatta di toni e sfumature.
Il materiale utilizzato è infatti nuovissimo: nonostante le prime fibre sintetiche risalgano al XIX secolo (il rayon è stato prodotto in laboratorio nel 1855) le materie plastiche si diffondono massicciamente solo nel secondo dopoguerra. Nel 1953 il tedesco Karl Ziegler sintetizza il polietilene, l'anno successivo Giulio Natta ottiene il polipropilene (entrambi vinceranno per le loro scoperte il premio Nobel), e sono questi polimeri che danno un impulso decisivo alla produzione e diffusione di oggetti in plastica.
La plastica, frutto totalmente artificiale della ricerca chimica, rivoluziona in un periodo brevissimo la vita e il paesaggio contemporaneo; economica, leggera, robusta, impermeabile, modellabile, colorata, riunisce in se le caratteristiche che ne faranno un materiale insostitubile. Circondati da centinaia di oggetti in plastica, ci è quasi impossibile pensare a un mondo in cui essa non esisteva; è difficile sovrastimare la portata della rivoluzione causata dall'introduzione di questo materiale. La plastica seduce immediatamente Burri che, instancabile sperimentatore e torturatore di materiali, ne intuisce le possibilità estetiche.
Anche la Pop Art si è servita della plastica e ha amato questo materiale, ma ne ha fatto un uso radicalmente opposto rispetto all'artista umbro. Esaltandone l'aspetto lucido e levigato, la Pop Art ha trasformato la plastica in un metafora del consumo, in un simbolo della gratificazione che l'oggetto nuovo ci procura. La plastica di Burri è invece giunta al fondo del suo ciclo di vita, è prossima ai rifiuti, è contorta, sofferta, consumata. I suoi brandelli rappresentano la parte oscura e terminale dell'esistenza delle cose, l'oggetto destinato a trasformarsi in scarto. Nella Pop Art, programmaticamente, non c'è dramma: l'oggetto è sospeso in una dimensione atemporale di eterna novità; in Burri, al contrario, l'interesse dell'oggetto sta solo nei segni che il tempo ha lasciato, nei processi che ha attraversato.
Come il taglio o il buco di Fontana violano l'integrità della tela per dare vita a composizioni sublimi, così Burri aggredisce i fogli di plastica con la fiamma ossidrica per vederli contorcere, deformarsi, sciogliersi e infine solidificarsi di nuovo in forme assolutamente inedite. L'elemento distruttivo convive qui con quello creativo; i materiali devono essere aggrediti e distrutti per dare vita a qualcosa di nuovo; in queste opere Burri condensa il ciclo naturale di creazione e distruzione, nascita e morte.
(C. Brandi, Scritti sull'arte contemporanea, Torino 1976).
Alberto Burri comincia a realizzare a metà degli anni Cinquanta alcune opere chiamate Combustioni in cui utilizza materiali particolarmente infiammabili o sensibili all'azione del fuoco. Dapprima si serve di legno e carta, tradizionali vittime delle fiamme poi, negli anni attorno al 1958, introduce nelle sue opere fogli di materiale plastico procurando al fuoco un materiale nuovo su cui esercitare la sua potenza distruttiva.
La realizzazione di opere d'arte attraverso il processo di combustione era stato per Burri una vera e propria rivelazione. Pur senza eliminare completamente l'intervento dell'artista, la combustione che forma l'immagine e la composizione produce risultati relativamente casuali. Già i surrealisti avevano tentato di aggirare il controllo esercitato dalla coscienza e avevano ricercato dei modi, automatici e casuali, per far emergere l'inconscio attraverso la rimozione di vincoli e censure. Burri, in questa serie di opere, compie un passo ancora piu lungo, delegando l'esecuzione a un fenomeno naturale. L'artista può solo tentare di dirigere la fiamma, controllarne l'opera distruttiva, decidere quando arrestare il processo o scartare eventualmente i risultati che gli dovessero sembrare esteticamente insoddisfacenti. Il controllo totale sulla composizione, la rifinitura del dettaglio diventano però impossibili. L'abdicazione dell'artista, il suo mettersi in disparte e l'evocazione di forze naturali e incontrollabili fanno guadagnare un'immensa potenza espressiva alle opere.
Il materiale plastico è totalmente in balia del fuoco che lo piega e lo deforma a piacimento. Non vediamo il fuoco all'opera, ma le tracce del suo passaggio sono inconfondibili. La nostra paura primordiale di un elemento così potente ed incontrollabile agisce in profondità, trasformando l'energia del fuoco in energia espressiva. Non possiamo assistere alla devastazione, ma i resti visibili impongono alla nostra mente di ricostruire il processo. Siamo costretti a spostare l'attenzione dagli oggetti alle cause della loro condizione presente: queste opere ci obbligano a immaginare il fuoco in azione; la loro forza discende dallo sforzo di immaginazione richiesto.
Il fuoco rappresenta la velocità, il movimento, l'espansione immediata e furibonda, la potenza distruttiva, temi fondanti al Futurismo. L'eredità futurista è infatti imprescindibile per gli artisti contemporanei italiani; da essa hanno origine e discendono fino a Burri elementi che ritroviamo in queste opere: la rapidità nell'esecuzione, i materiali nuovissimi, l'assenza di rimandi a una tradizione pittorica accademica fatta di toni e sfumature.
Il materiale utilizzato è infatti nuovissimo: nonostante le prime fibre sintetiche risalgano al XIX secolo (il rayon è stato prodotto in laboratorio nel 1855) le materie plastiche si diffondono massicciamente solo nel secondo dopoguerra. Nel 1953 il tedesco Karl Ziegler sintetizza il polietilene, l'anno successivo Giulio Natta ottiene il polipropilene (entrambi vinceranno per le loro scoperte il premio Nobel), e sono questi polimeri che danno un impulso decisivo alla produzione e diffusione di oggetti in plastica.
La plastica, frutto totalmente artificiale della ricerca chimica, rivoluziona in un periodo brevissimo la vita e il paesaggio contemporaneo; economica, leggera, robusta, impermeabile, modellabile, colorata, riunisce in se le caratteristiche che ne faranno un materiale insostitubile. Circondati da centinaia di oggetti in plastica, ci è quasi impossibile pensare a un mondo in cui essa non esisteva; è difficile sovrastimare la portata della rivoluzione causata dall'introduzione di questo materiale. La plastica seduce immediatamente Burri che, instancabile sperimentatore e torturatore di materiali, ne intuisce le possibilità estetiche.
Anche la Pop Art si è servita della plastica e ha amato questo materiale, ma ne ha fatto un uso radicalmente opposto rispetto all'artista umbro. Esaltandone l'aspetto lucido e levigato, la Pop Art ha trasformato la plastica in un metafora del consumo, in un simbolo della gratificazione che l'oggetto nuovo ci procura. La plastica di Burri è invece giunta al fondo del suo ciclo di vita, è prossima ai rifiuti, è contorta, sofferta, consumata. I suoi brandelli rappresentano la parte oscura e terminale dell'esistenza delle cose, l'oggetto destinato a trasformarsi in scarto. Nella Pop Art, programmaticamente, non c'è dramma: l'oggetto è sospeso in una dimensione atemporale di eterna novità; in Burri, al contrario, l'interesse dell'oggetto sta solo nei segni che il tempo ha lasciato, nei processi che ha attraversato.
Come il taglio o il buco di Fontana violano l'integrità della tela per dare vita a composizioni sublimi, così Burri aggredisce i fogli di plastica con la fiamma ossidrica per vederli contorcere, deformarsi, sciogliersi e infine solidificarsi di nuovo in forme assolutamente inedite. L'elemento distruttivo convive qui con quello creativo; i materiali devono essere aggrediti e distrutti per dare vita a qualcosa di nuovo; in queste opere Burri condensa il ciclo naturale di creazione e distruzione, nascita e morte.