Lot Essay
Le parole non mi sono d'aiuto quando provo a parlare della mia pittura. Questa è un'irriducibile presenza che rifiuta di essere tradotta in qualsiasi forma d'espressione.
ALBERTO BURRI
Alberto Burri concepì l'idea di utilizzare il fuoco come elemento creativo intorno alla metà degli anni Cinquanta, durante una visita a uno stabilimento petrolifero assieme al critico e poeta Emilio Villa (P. Palumbo, Burri Una Vita, Milano 2007, p. 92). La sua prima combustione, realizzata facendo agire il fuoco sulla carta, venne pubblicata su Civiltà delle Macchine; la rivista, sotto la direzione di Leonardo Sinisgalli, era particolarmente attenta al panorama innovativo dell'arte italiana di quegli anni e ne documentò alcuni tra gli esercizi più sperimentali.
Nelle Combustioni il fuoco distrugge, trasforma, modifica irreversibilmente i materiali. Un elemento immateriale prevale sulla materia, l'energia crea la forma. Queste opere diventano una metafora della creazione artistica, forza universale e inarrestabile, che consente all'intelligenza e alla volontà di dominare la materia.
Nelle Combustioni il processo è apparentemente incontrollabile e il risultato imprevedibile. D'altra parte, per Burri, la totale casualità non è mai soddisfacente. L'artista permette al fuoco di agire, ma decide quando arrestare il processo, e sceglie i risultati che giudica migliori. La composizione dell'immagine, i rapporti di forme e colori sono sempre fondamentali per l'artista umbro (in questo caso la forma circolare centrale è racchiusa in alto da una banda nera orizzontale, mentre una fascia nera e una bianca la limitano nella parte inferiore dell'opera). Rifiutando la pittura naturalista e l'uso del colore che imita la realtà, Burri raggiunge un livello superiore di realismo. L'artista infatti non copia la realtà, ma la trasferisce direttamente nelle sue opere. Anziché imitarla, ne ripete i processi, come già Klee aveva auspicato.
Il fuoco delle Combustioni non è una presenza benefica; non è il fuoco addomesticato fin dagli albori dell'umanità che fonde i metalli, che cucina e che riscalda; è invece la forza primordiale e selvaggia degli incendi, dei fulmini, delle eruzioni. D'altra parte è però proprio il processo di distruzione che permette all'opera di esistere e le attribuisce la sua straordinaria forza espressiva. Come la Fenice, l'immagine sorge dalle sue ceneri.
Come in altre occasioni, Burri ha avuto il merito di intraprendere una direzione di ricerca che sarà poi seguita anche da altri artisti. A qualche anno di distanza dalle Combustioni di Burri, Yves Klein inaugura nel 1961 le sue Peintures de Feu utilizzando dei grandi bruciatori. Sebbene le intenzioni fossero in qualche modo simili (portare l'attenzione sul processo e non solo sul risultato, utilizzare il fuoco come simbolo di forza e principio universale), in Klein l'accento è posto soprattutto nel trasferimento dell'arte dall'ambito materiale a quello spirituale. La prospettiva di Burri è invece totalmente opposta: anche se la creazione è un fenomeno spirituale e intellettuale, il terreno di ricerca dell'arte è immanente, il suo valore si misura sui risultati concreti, la riflessione sui materiali è totalmente immersa nella realtà.
In Burri, i valori simbolici e metaforici, che pure esistono, non sono mai prevalenti rispetto alla natura terrena e concreta della ricerca. L'interesse dell'artista è concentrato sulla forza plastica che i materiali assumono dopo essere stati manipolati, modificati, aggrediti. In questo senso le Combustioni sono emblematiche di tutta la sua opera, ne rappresentano la sintesi e la realizzazione più completa.
La prima sensazione che scaturisce il trovarsi davanti un'opera di Burri è lo spaesamento: la tela, che fino ad allora era stata supporto, complice del risultato pittorico finale, qui d'un tratto diventa protagonista, e viene ricoperta di tutta una serie di materiali inconsueti. Stoffe, brandelli di juta, legni, pietra pomice, sostituiscono le pennellate e creano nuovi giochi materici: ciò che è considerato informale diventa appunto il risultato di creare una forma, sistemando i tasselli con accostamenti, sovrapposizioni, incrinature, trasfigurazioni per comporre una soluzione creativa originale, quasi a voler cercare di ristabilire un ordine di un mondo fatto a pezzi dalla realtà.
Di lui dice Achille Bonito Oliva:
"Alla soggezione e alla frustrazione di un quotidiano prosaico e banale, Burri risponde immergendosi eroicamente nella materia dei propri quadri, mettendo nero su nero, cercando nel processo creativo il valore di un'autenticità che la vita normale non riesce a dare. Perché non è possibile retrocedere all'origine, alla primigenie mitica della materia, in quanto esiste il peccato della pittura, della storia del linguaggio e della storia in generale, la materia quando attraversa la soglia del linguaggio si rapprende, si raffredda nello spazio congelato del quadro. Allora Burri approfondisce la propria strategia, il proprio scontro epico con il mondo, cercando di accorciare la distanza che separa la realtà della materia dalla necessità della forma.
[...] Non a caso i quadri acquistano una grande dimensione, le campiture di materie e di colori si estendono, acquistando il respiro antico dei quadri della classicità che raffigurano scene di battaglie, perché proprio di questo si tratta, di una battaglia epica combattuta dall'artista contro l'irriducibilità del linguaggio che riesce, come uno specchio, a riflettere la tensione ma non a risolverla, ripete la domanda ma non dà risposta.
Il processo cretivo diventa il luogo del riscatto, la cesura che separa la piatta orizzontalità dall'esistenza dal movimento verticale della creazione. Ma la creazione nasce proprio come risposta al quotidiano, per questo ne assume tutte le tracce, tutti i materiali che ne segnalano i traumi, gli strappi e la violenza. Infatti i materiali conservano sulla propria pelle i postumi e un'eco di vita, un livello basso di esistenza, denotanti l'idea di un'arte che non ritrae le mani, semmai le affonda nella materia. Ma il materiale è sapientemente impaginato nella struttura del quadro senza quella nerità, quel sentimento del nero, del tragico assoluto, quando tratta la materia intesa come essenza, come materia. Ora il quotidiano orizzontale entra nello spazio verticale dell'arte, l'oggetto vissuto si integra nella materia del quadro, i colori e la storia di questi colori, cioè la storia dell'arte.
(La misura aurea della materia, in Alberto Burri 1948-1993, Milano 1998, cat. mostra a Milano, Galleria Zonca&Zonca, pp. 11-14)
ALBERTO BURRI
Alberto Burri concepì l'idea di utilizzare il fuoco come elemento creativo intorno alla metà degli anni Cinquanta, durante una visita a uno stabilimento petrolifero assieme al critico e poeta Emilio Villa (P. Palumbo, Burri Una Vita, Milano 2007, p. 92). La sua prima combustione, realizzata facendo agire il fuoco sulla carta, venne pubblicata su Civiltà delle Macchine; la rivista, sotto la direzione di Leonardo Sinisgalli, era particolarmente attenta al panorama innovativo dell'arte italiana di quegli anni e ne documentò alcuni tra gli esercizi più sperimentali.
Nelle Combustioni il fuoco distrugge, trasforma, modifica irreversibilmente i materiali. Un elemento immateriale prevale sulla materia, l'energia crea la forma. Queste opere diventano una metafora della creazione artistica, forza universale e inarrestabile, che consente all'intelligenza e alla volontà di dominare la materia.
Nelle Combustioni il processo è apparentemente incontrollabile e il risultato imprevedibile. D'altra parte, per Burri, la totale casualità non è mai soddisfacente. L'artista permette al fuoco di agire, ma decide quando arrestare il processo, e sceglie i risultati che giudica migliori. La composizione dell'immagine, i rapporti di forme e colori sono sempre fondamentali per l'artista umbro (in questo caso la forma circolare centrale è racchiusa in alto da una banda nera orizzontale, mentre una fascia nera e una bianca la limitano nella parte inferiore dell'opera). Rifiutando la pittura naturalista e l'uso del colore che imita la realtà, Burri raggiunge un livello superiore di realismo. L'artista infatti non copia la realtà, ma la trasferisce direttamente nelle sue opere. Anziché imitarla, ne ripete i processi, come già Klee aveva auspicato.
Il fuoco delle Combustioni non è una presenza benefica; non è il fuoco addomesticato fin dagli albori dell'umanità che fonde i metalli, che cucina e che riscalda; è invece la forza primordiale e selvaggia degli incendi, dei fulmini, delle eruzioni. D'altra parte è però proprio il processo di distruzione che permette all'opera di esistere e le attribuisce la sua straordinaria forza espressiva. Come la Fenice, l'immagine sorge dalle sue ceneri.
Come in altre occasioni, Burri ha avuto il merito di intraprendere una direzione di ricerca che sarà poi seguita anche da altri artisti. A qualche anno di distanza dalle Combustioni di Burri, Yves Klein inaugura nel 1961 le sue Peintures de Feu utilizzando dei grandi bruciatori. Sebbene le intenzioni fossero in qualche modo simili (portare l'attenzione sul processo e non solo sul risultato, utilizzare il fuoco come simbolo di forza e principio universale), in Klein l'accento è posto soprattutto nel trasferimento dell'arte dall'ambito materiale a quello spirituale. La prospettiva di Burri è invece totalmente opposta: anche se la creazione è un fenomeno spirituale e intellettuale, il terreno di ricerca dell'arte è immanente, il suo valore si misura sui risultati concreti, la riflessione sui materiali è totalmente immersa nella realtà.
In Burri, i valori simbolici e metaforici, che pure esistono, non sono mai prevalenti rispetto alla natura terrena e concreta della ricerca. L'interesse dell'artista è concentrato sulla forza plastica che i materiali assumono dopo essere stati manipolati, modificati, aggrediti. In questo senso le Combustioni sono emblematiche di tutta la sua opera, ne rappresentano la sintesi e la realizzazione più completa.
La prima sensazione che scaturisce il trovarsi davanti un'opera di Burri è lo spaesamento: la tela, che fino ad allora era stata supporto, complice del risultato pittorico finale, qui d'un tratto diventa protagonista, e viene ricoperta di tutta una serie di materiali inconsueti. Stoffe, brandelli di juta, legni, pietra pomice, sostituiscono le pennellate e creano nuovi giochi materici: ciò che è considerato informale diventa appunto il risultato di creare una forma, sistemando i tasselli con accostamenti, sovrapposizioni, incrinature, trasfigurazioni per comporre una soluzione creativa originale, quasi a voler cercare di ristabilire un ordine di un mondo fatto a pezzi dalla realtà.
Di lui dice Achille Bonito Oliva:
"Alla soggezione e alla frustrazione di un quotidiano prosaico e banale, Burri risponde immergendosi eroicamente nella materia dei propri quadri, mettendo nero su nero, cercando nel processo creativo il valore di un'autenticità che la vita normale non riesce a dare. Perché non è possibile retrocedere all'origine, alla primigenie mitica della materia, in quanto esiste il peccato della pittura, della storia del linguaggio e della storia in generale, la materia quando attraversa la soglia del linguaggio si rapprende, si raffredda nello spazio congelato del quadro. Allora Burri approfondisce la propria strategia, il proprio scontro epico con il mondo, cercando di accorciare la distanza che separa la realtà della materia dalla necessità della forma.
[...] Non a caso i quadri acquistano una grande dimensione, le campiture di materie e di colori si estendono, acquistando il respiro antico dei quadri della classicità che raffigurano scene di battaglie, perché proprio di questo si tratta, di una battaglia epica combattuta dall'artista contro l'irriducibilità del linguaggio che riesce, come uno specchio, a riflettere la tensione ma non a risolverla, ripete la domanda ma non dà risposta.
Il processo cretivo diventa il luogo del riscatto, la cesura che separa la piatta orizzontalità dall'esistenza dal movimento verticale della creazione. Ma la creazione nasce proprio come risposta al quotidiano, per questo ne assume tutte le tracce, tutti i materiali che ne segnalano i traumi, gli strappi e la violenza. Infatti i materiali conservano sulla propria pelle i postumi e un'eco di vita, un livello basso di esistenza, denotanti l'idea di un'arte che non ritrae le mani, semmai le affonda nella materia. Ma il materiale è sapientemente impaginato nella struttura del quadro senza quella nerità, quel sentimento del nero, del tragico assoluto, quando tratta la materia intesa come essenza, come materia. Ora il quotidiano orizzontale entra nello spazio verticale dell'arte, l'oggetto vissuto si integra nella materia del quadro, i colori e la storia di questi colori, cioè la storia dell'arte.
(La misura aurea della materia, in Alberto Burri 1948-1993, Milano 1998, cat. mostra a Milano, Galleria Zonca&Zonca, pp. 11-14)