Giorgio de Chirico (1888-1978)
Artist's Resale Right ("Droit de Suite"). Artist's… Read more DA UN'IMPORTANTE COLLEZIONE PRIVATA ITALIANA (LOTTI 17-18)
Giorgio de Chirico (1888-1978)

Ettore e Andromaca

Details
Giorgio de Chirico (1888-1978)
Ettore e Andromaca
firmato e datato g. de Chirico 1969 (in basso a sinistra); dedicato A Gianni Reif, cordialmente, Giorgio de Chirico, Roma 18 febbraio 1970 (sul retro)
olio su tela
cm 90x60
Eseguito nel 1969
Opera registrata presso la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Roma, come da autentica su fotografia
Provenance
Acquisito direttamente dall'artista dal padre dell'attuale proprietario nel 1977 c.
Special Notice
Artist's Resale Right ("Droit de Suite"). Artist's Resale Right Regulations 2006 apply to this lot, the buyer agrees to pay us an amount equal to the resale royalty provided for in those Regulations, and we undertake to the buyer to pay such amount to the artist's collection agent.

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Lot Essay

Due figure appaiono su una sorta di palcoscenico molto inclinato; la dimensione teatrale della scena è ulteriormente sottolineata da elementi laterali che fanno da quinta; qualche elemento (in questo caso una vela) si staglia all'orizzonte, contro un cielo dalla colorazione innaturale. Le figure, sostenute da una specie di impalcatura e da squadre di legno, sono del tutto incongrue. Solitamente definite 'manichini', sono in realtà assemblaggi eterogenei di elementi di legno. Prive delle braccia, si reggono su piedi minuscoli che in questa versione appoggiano su una base, interessante variazione che rende ancora più artificiale la rappresentazione. Le ombre lunghe dei manichini, che non sono coerenti con gli oggetti da cui sono proiettate, descrivono un tardo pomeriggio vuoto e silenzioso. Un'altra ombra sulla destra di chi guarda rivela un oggetto o un edificio che incombe sulla scena. Come negli altri dipinti metafisici di Giorgio de Chirico, è assente ogni traccia di presenze umane. Il tempo è immobile e l'epoca in cui si svolge la scena non è chiara.
L'immagine appena descritta è ambigua, il suo significato è misterioso e l'unico indizio che parrebbe darle un senso è il titolo, che si riferisce a un episodio del VI libro dell'Iliade, ed è quindi parte di quel patrimonio culturale classico di cui de Chirico era profondamente intriso. La complessa vicenda dell'amore tra Ettore e Andromaca è nota; de Chirico si riferisce (per quanto sia praticamente impossibile individuare qualunque elemento narrativo nel dipinto) al momento della separazione tra i due, quando Ettore, ignorando le preghiere di Andromaca, decide di affrontare Achille in battaglia piuttosto che restare in disparte in una posizione protetta. Questa scelta porterà alla sua morte, alla scomparsa della discendenza di Priamo e, per Andromaca, alla perdita di tutti i suoi cari. Vari archetipi mitici si intrecciano quindi nella vicenda: la separazione e l'ultimo addio, la fatalità tragica e inevitabile, la dedizione della sposa destinata a rimanere sola. Tutti questi aspetti hanno prodotto innumerevoli rapprentazioni artistiche, tutte contraddistinte da una fortissima carica sentimentale della figura di Andromaca. Questo sentimentalismo è completamente assente nell'opera di de Chirico: nel mondo dechirichiano gli aspetti narrativi ed emotivi scompaiono perché le vicende personali e la cronaca non hanno posto; gli aspetti fisici e i sentimenti sono trascurati a favore di quelli metafisici; quello che rimane della vicenda mitica è solo il senso di sospensione, di destino incombente e misterioso.
Secondo Maurizio Calvesi, uno degli studiosi che meglio ha indagato l'opera di de Chirico, l'artista "Al soggetto esplicito, narrativo che la pittura (anche futurista) è chiamata a illustrare, sostituì il soggetto inattingibile, enigmatico, che la pittura sospende come sopra se stessa; ovvero identificò il soggetto nell'enigma: non tuttavia un enigma-problema suscettibile di soluzione, ma un enigma-stato d'animo irriducibile a un senso determinato. E se dunque l'immagine pittorica, pur non essendo astratta, puramente formalistica e fine a se stessa, ma 'rappresentativa' di qualcosa e quindi dotata di un tema e di un 'soggetto', al tempo stesso non riconduce a un senso definibile, ciò che essa esprime è in ultima analisi il 'non-senso'. In effetti, nell'animo inquieto di de Chirico, doveva albergare il dubbio che il 'non-senso' fosse il fondamento stesso della realtà, dell'esistenza". (M. Calvesi, La Metafisica continua, in cat. mostra Palermo 2008, p. 25).
Ettore e Andromaca è un soggetto la cui prima versione risale al 1917, all'originario gruppo di immagini che sono il nucleo principale dell'iconografia metafisica di de Chirico. Questo e altri dei temi figurativi più riusciti riappaiono attraverso tutta la carriera dell'artista. La riproposizione con variazioni di alcuni soggetti, uno degli aspetti più noti e sicuramente il più interessante e sorprendentemente moderno nell'opera dell'artista, merita qualche considerazione.
De Chirico scopre molto presto la possibilità di impadronirsi dello stile dei grandi pittori del passato e di immedesimarsi completamente in loro. Fin da giovane passa intere giornate nei musei studiando le opere di Raffaello, Poussin, Rubens e si cala nella loro personalità fino a pensare di poterne condividere non solo i caratteri stilistici, ma anche i processi mentali e creativi. L'artista di Volos arriva ben presto a eseguire dipinti che non sono copie, ma vere e proprie ri-produzioni delle opere dei maestri del passato. De Chirico, influenzato dalla dottrina nietzscheana dell'eterno ritorno del medesimo, vede la tradizione artistica come un continuum in cui si riprongono eternamente uguali problemi, valori, situazioni. La storia dell'arte è un confronto ininterrotto tra personalità che accidentalmente hanno vissuto in epoche differenti ma che, attraverso la pittura, dialogano in un eterno presente. Per un grande artista è quindi possibile -anzi, necessario- spostarsi all'indietro nel tempo e calarsi nelle tecniche e nella personalità creativa dei maestri. Tra i grandi artisti -del passato, e quindi del presente- de Chirico conta anche se stesso. Con una straordinaria operazione concettuale comincia quindi, a un certo punto della sua carriera, a ri-produrre le sue stesse opere. Come ossessioni da cui non è possibile liberarsi, le immagini da lui stesso create continuano a riproporsi alla sua mente e al suo pennello. Anche in questi casi non si tratta di copie, ma di rielaborazioni dello stile, della tecnica e delle straordinarie invenzioni del pictor optimus: se medesimo.