Lot Essay
"La materia per me è un frammento di questa enorme lacerazione che ha travolto l'Europa; i miei primi quadri erano così, come una ferita dalla quale togli dei pezzi di benda…dove il sangue si è rappreso ma non è più una macchia rossa- Tutto doveva apparire lacerato, affranto".
"Matter for me is a fragment of this enormous wound which has devastated Europe: my first paintings were exactly like a wound, when you try to remove bandages... where the blood has thickened and it's no more a red spot - Everything has to appear torn, broken".
FRANCO ANGELI
Conobbi Franco un po’ prima della loro mostra alla Salita. Abitava allora a via Germanico in una di quelle case tristi da impiegati che potevano pensare solo di costruire i piemontesi, in un piano sopra all’ultimo, dove in realtà la casa finiva. Era più su del superattico. La sua non era né una casa né uno studio, era un’invenzione, accanto ai cassoni dell’acqua. C’era una piccola stanza con dei grandi quadri nero o bianchi. La stanza era ingombra di calze da donna. Franco allora faceva dei quadri neri (ne fece poi di bianchi e di verdi e di rossi) che erano così concepiti: sulla tela bianca tesa intorno al telaio attaccava nelle calze di nylon aperte che diventavano come delle vele che poi dipingeva schizzando colori e segni. Il tutto veniva coperto da un velatino, o nero o verde o rosso, che sensibilizzava con poco altro colore intensificandolo in alcuni punti. Di sacchetti di calze era pieno: tutte le ragazze (e le ragazze sono forse l’unica cosa che non gli è mai mancata) gliene regalavano, felici di lasciare un pezzo di loro stesse in un’opera d’arte. La stanza, oltre ai quadri appoggiati al muro, dei quali ne potevi vedere uno alla volta con grande difficoltà, aveva uno sgabello e una cucitrice. Credo che allora si facesse da solo anche i telai. La stanza aveva un bagno piccolissimo e senza luce a cui si arrivava solo spostando i quadri e appoggiandoli alla porta di uscita. Accanto al bagno c’era un vano con due fornelli, unico riscaldamento, e una scaletta che portava ad una botola. Aperta la botola, entravi in un vano con una branda senza materasso, alcuni libri, una grammatica di inglese, un quaderno e un chiodo per appendere un vestito e un cuscino senza federa. Questa era la sua camera da letto in mezzo al cielo e a Roma, una Roma di cui lui conosceva ogni campanile.
Allora l’unica conoscenza di Franco era quella della vita: antica e saggia ed estremamente generosa. Questo è quello che di Franco io mi ricordo: i primi anni della sua vita d’artista. Poi forse è cambiato. Ma come era allora l’ho rivisto – ed era l’ultima volta – martedì all’ospedale, con gli stessi occhi buoni spaventati che chiedevano aiuto per poi rifiutarlo perché sapeva che il suo dolore era così antico, così profondo che neanche il successo poteva quietarlo.
Mi occupo d’arte da tutta la vita ma questo non basta per farmi dire se quella di Franco sia vera arte, che poi è una parola ridicola in un tempo così effimero. Ma la mia esperienza mi dà, credo, il permesso di dire che quella di Franco è stata una vita d’artista, una vita che non ha tradito mai perché anche il suo occhieggiare ricchi, potenti e nobili era poi sempre per demistificarli e sempre lui rimaneva solo, con la sua fedele compagna, l’angoscia, che l’ha ricambiato dandogli anche però una sua grandezza.
E ora pensando a lui così intensamente, come non mi succedeva da anni, penso ad alcuni giovani artisti romani già così vecchi, così organizzati, così difesi, così culturalmente presenti. E allora non penso più che Franco Angeli, Tano Festa, Francesco Lo Savio abbiano sprecato la loro vita. Mi sembra che l’abbiano vissuta con la forza, il coraggio e la creatività di cui disponevano, facendo alcune opere che forse nella storia della pittura rimarranno e con una grandezza e una generosità che quelli che li hanno conosciuti si ricorderanno. Nessuno di loro potrà dire che non siano vissuti come, per antica tradizione, si vuole viva un artista. Con quel poco più di coraggio che lo differenzia dagli altri.
I met Franco shortly before his show at the Salita. At the time he lived in Via Germanico, in one of those sad working class houses that only the Piedmontese could have thought of building, on the level above the top floor, where the house ended. In reality, it was even a level above the attic. Located next to the water tanks, his was neither a house nor a studio, it was an invention. There was a small room containing large black or white paintings. The room was cluttered with women’s stockings. Franco was making black paintings(later he would make white, green and red works) that were conceived as follows: to the white canvas, pulled taught over its wooden stretcher, he would attach splayed nylon stockings that resembled sails, which he then painted by splashing on colors and marks. Everything was covered by a tinted layer of varnish, in tones of black, green or red, which he intensified with a little more color in some places. The stocking bags were full: all the girls (and girls were perhaps the only thing that he never lacked) gave him their stockings, happy to leave a piece of themselves behind in a work of art. In addition to the paintings leaning against the wall, which you could view one at a time with great difficulty, the room also housed a stool and a stapler. I think that at the time, artists made their own wooden stretchers. The room had a very small bathroom, with no light, that could only be reached by moving the paintings and leaning them on the door at the exit. Next to the bathroom was a room with two burners, that acted as the only heating, and a ladder leading to a trapdoor. Once the trapdoor was open, one entered a room containing a cot without a mattress, some books, an English grammar textbook, a notebook and a nail on which he hung his clothes, and a pillow without a pillowcase. This was his bedroom in the sky, in Rome – a Rome of which he knew every bell tower.
Franco’s only knowledge was that of life: ancient, wise and extremely generous. This is what I remember of Franco: the first years of his life as an artist. Later it may have changed, but as he was then is how I saw him – for the last time – on Tuesday at the hospital, with the same kind, frightened eyes that pleaded for help and then refused it because he knew that his pain was so old, so deep, that even success could not give him peace. I have worked with art all my life, but this is not enough to allow me to say whether Franco’s is a true art, which is a ridiculous word in such an ephemeral time. This said, I think my experience permits me to say that Franco’s life was the life of an artist, a life that he never betrayed, because even when he observed the rich, the powerful and the noble, it was always in order to demystify them, and he always remained alone, with his faithful companion, his inner torment, which gave him his greatness. And now, as I think of him so intensely, as I have not done for years, I think of certain young Roman artists who are already so old, so organised, so protected, so culturally present. And I no longer think that Franco Angeli, Tano Festa, Francesco Lo Savio wasted their lives. It seems to me that they lived it with all of the strength, courage and creativity they had, creating works that will, perhaps, remain in the history of painting, with a greatness and generosity that only those who knew them will remember. None of them would be able to say that they had not lived, as ancient tradition dictates, the life of an artist. With just that small amount of extra courage that differentiates it from others.
L. Laureati in “Vernissage – Il fotogiornale dell’arte”, dicembre 1988.
Realizzato negli anni 1965-1966, il lavoro Esplosione frammento di Franco Angeli si caratterizza per avere quale soggetto uno dei motivi distintivi e più iconici dell'artista: il mezzo dollaro, ossia la moneta americana da cinquanta centesimi. Angeli, uno dei leader della Scuola Piazza del Popolo – come venne definita successivamente –, gruppo di artisti che vivevano e lavoravano a Roma nei primi anni '60, fu attivo politicamente fin dalla tenera età. Fu membro negli anni '50 della sezione del partito comunista di Campo Marzio, tanto che i suoi ideali e interessi politici influenzarono a fondo la sua produzione artistica. Dalla realizzazione di velati monocromi attribuiti ai primi anni '60, Angeli giunse ad inserire nella sua opera una serie di potenti simboli e riferimenti politici, spesso controversi, come la stella di Davide, la svastica, la falce e il martello, nonché allusioni a eventi quali il coinvolgimento della Francia nella guerra in Algeria, e il rovesciamento del regime fascista a Cuba da parte delle forze di Fidel Castro.
Poiché l'influenza dell'America era avvertita a Roma negli anni '60, egli scelse di fare proprio il simbolismo iconografico di quel paese e, nello specifico, identificò gli emblemi che davano modo di evidenziare la crescente potenza del capitalismo americano. Angeli giunse alla consapevolezza che utilizzando l'onnipresente e immediatamente riconoscibile immagine impressa sul mezzo dollaro, per molti versi assimilabile ai coevi Dollar Bills di Andy Warhol – benché questa serie si presentava apolitica nel suo significato intrinseco –, poteva affrontare nel miglior modo possibile il potere apparentemente indomito degli Stati Uniti nell'era del dopoguerra.
Come di consuetudine nei lavori di Angeli, Esplosione frammento presenta un'immagine sconnessa che di conseguenza vela e oscura la comprensione immediata del soggetto. Le ali dell'aquila – simbolo iconico degli Stati Uniti – dominano la composizione, fiancheggiate da un treno di stelle e dalle lettere appena visibili che compongono l'inconfondibile frase "Stati Uniti d'America".
Executed in 1965-1966, Franco Angeli’s Esplosione frammento takes as its subject one of the artist’s defining and most iconic motifs: the half-dollar, the American fifty-cent coin. One of the leading members of the later-named Scuola di Piazza del Popolo, a group of artists living and working in Rome in the early 1960s, Angeli had been politically active from an early age. A member of the Campo Marzio Communist party in Rome during the 1950s, his political beliefs and interests influenced his artmaking greatly. Progressing from the veiled monochrome works of the early 1960s, Angeli came to embrace a range of powerful, often controversial, political symbols and references in his work, including the Star of David, swastikas, the hammer and sickle, and allusions to events such as the French involvement in the Algerian war and the overturning of the Fascist regime by Fidel Castro’s forces in Cuba.
As the influence of America made itself felt in Rome during the 1960s, so Angeli turned to the iconographic symbolism of the USA, and in particular, the symbols that addressed the ever-growing might of American Capitalism. In many ways akin to Andy Warhol’s concurrent Dollar Bills – although this was a series that was supposedly apolitical in its meaning – Angeli found that the ubiquitous, immediately recognisable imagery that was imprinted on the half-dollar was the greatest means through which he could address the seemingly indomitable power of the USA in the post-war era. As is typical of Angeli’s practice, Esplosione frammento presents a fragmented image that veils and obscures the immediate comprehension of the subject. The wing of the eagle – the defining symbol of the USA – dominates the composition, flanked by a trail of stars, and the just visible letters that make up the unmistakable phrase: ‘United States of America’.
"Matter for me is a fragment of this enormous wound which has devastated Europe: my first paintings were exactly like a wound, when you try to remove bandages... where the blood has thickened and it's no more a red spot - Everything has to appear torn, broken".
FRANCO ANGELI
Conobbi Franco un po’ prima della loro mostra alla Salita. Abitava allora a via Germanico in una di quelle case tristi da impiegati che potevano pensare solo di costruire i piemontesi, in un piano sopra all’ultimo, dove in realtà la casa finiva. Era più su del superattico. La sua non era né una casa né uno studio, era un’invenzione, accanto ai cassoni dell’acqua. C’era una piccola stanza con dei grandi quadri nero o bianchi. La stanza era ingombra di calze da donna. Franco allora faceva dei quadri neri (ne fece poi di bianchi e di verdi e di rossi) che erano così concepiti: sulla tela bianca tesa intorno al telaio attaccava nelle calze di nylon aperte che diventavano come delle vele che poi dipingeva schizzando colori e segni. Il tutto veniva coperto da un velatino, o nero o verde o rosso, che sensibilizzava con poco altro colore intensificandolo in alcuni punti. Di sacchetti di calze era pieno: tutte le ragazze (e le ragazze sono forse l’unica cosa che non gli è mai mancata) gliene regalavano, felici di lasciare un pezzo di loro stesse in un’opera d’arte. La stanza, oltre ai quadri appoggiati al muro, dei quali ne potevi vedere uno alla volta con grande difficoltà, aveva uno sgabello e una cucitrice. Credo che allora si facesse da solo anche i telai. La stanza aveva un bagno piccolissimo e senza luce a cui si arrivava solo spostando i quadri e appoggiandoli alla porta di uscita. Accanto al bagno c’era un vano con due fornelli, unico riscaldamento, e una scaletta che portava ad una botola. Aperta la botola, entravi in un vano con una branda senza materasso, alcuni libri, una grammatica di inglese, un quaderno e un chiodo per appendere un vestito e un cuscino senza federa. Questa era la sua camera da letto in mezzo al cielo e a Roma, una Roma di cui lui conosceva ogni campanile.
Allora l’unica conoscenza di Franco era quella della vita: antica e saggia ed estremamente generosa. Questo è quello che di Franco io mi ricordo: i primi anni della sua vita d’artista. Poi forse è cambiato. Ma come era allora l’ho rivisto – ed era l’ultima volta – martedì all’ospedale, con gli stessi occhi buoni spaventati che chiedevano aiuto per poi rifiutarlo perché sapeva che il suo dolore era così antico, così profondo che neanche il successo poteva quietarlo.
Mi occupo d’arte da tutta la vita ma questo non basta per farmi dire se quella di Franco sia vera arte, che poi è una parola ridicola in un tempo così effimero. Ma la mia esperienza mi dà, credo, il permesso di dire che quella di Franco è stata una vita d’artista, una vita che non ha tradito mai perché anche il suo occhieggiare ricchi, potenti e nobili era poi sempre per demistificarli e sempre lui rimaneva solo, con la sua fedele compagna, l’angoscia, che l’ha ricambiato dandogli anche però una sua grandezza.
E ora pensando a lui così intensamente, come non mi succedeva da anni, penso ad alcuni giovani artisti romani già così vecchi, così organizzati, così difesi, così culturalmente presenti. E allora non penso più che Franco Angeli, Tano Festa, Francesco Lo Savio abbiano sprecato la loro vita. Mi sembra che l’abbiano vissuta con la forza, il coraggio e la creatività di cui disponevano, facendo alcune opere che forse nella storia della pittura rimarranno e con una grandezza e una generosità che quelli che li hanno conosciuti si ricorderanno. Nessuno di loro potrà dire che non siano vissuti come, per antica tradizione, si vuole viva un artista. Con quel poco più di coraggio che lo differenzia dagli altri.
I met Franco shortly before his show at the Salita. At the time he lived in Via Germanico, in one of those sad working class houses that only the Piedmontese could have thought of building, on the level above the top floor, where the house ended. In reality, it was even a level above the attic. Located next to the water tanks, his was neither a house nor a studio, it was an invention. There was a small room containing large black or white paintings. The room was cluttered with women’s stockings. Franco was making black paintings(later he would make white, green and red works) that were conceived as follows: to the white canvas, pulled taught over its wooden stretcher, he would attach splayed nylon stockings that resembled sails, which he then painted by splashing on colors and marks. Everything was covered by a tinted layer of varnish, in tones of black, green or red, which he intensified with a little more color in some places. The stocking bags were full: all the girls (and girls were perhaps the only thing that he never lacked) gave him their stockings, happy to leave a piece of themselves behind in a work of art. In addition to the paintings leaning against the wall, which you could view one at a time with great difficulty, the room also housed a stool and a stapler. I think that at the time, artists made their own wooden stretchers. The room had a very small bathroom, with no light, that could only be reached by moving the paintings and leaning them on the door at the exit. Next to the bathroom was a room with two burners, that acted as the only heating, and a ladder leading to a trapdoor. Once the trapdoor was open, one entered a room containing a cot without a mattress, some books, an English grammar textbook, a notebook and a nail on which he hung his clothes, and a pillow without a pillowcase. This was his bedroom in the sky, in Rome – a Rome of which he knew every bell tower.
Franco’s only knowledge was that of life: ancient, wise and extremely generous. This is what I remember of Franco: the first years of his life as an artist. Later it may have changed, but as he was then is how I saw him – for the last time – on Tuesday at the hospital, with the same kind, frightened eyes that pleaded for help and then refused it because he knew that his pain was so old, so deep, that even success could not give him peace. I have worked with art all my life, but this is not enough to allow me to say whether Franco’s is a true art, which is a ridiculous word in such an ephemeral time. This said, I think my experience permits me to say that Franco’s life was the life of an artist, a life that he never betrayed, because even when he observed the rich, the powerful and the noble, it was always in order to demystify them, and he always remained alone, with his faithful companion, his inner torment, which gave him his greatness. And now, as I think of him so intensely, as I have not done for years, I think of certain young Roman artists who are already so old, so organised, so protected, so culturally present. And I no longer think that Franco Angeli, Tano Festa, Francesco Lo Savio wasted their lives. It seems to me that they lived it with all of the strength, courage and creativity they had, creating works that will, perhaps, remain in the history of painting, with a greatness and generosity that only those who knew them will remember. None of them would be able to say that they had not lived, as ancient tradition dictates, the life of an artist. With just that small amount of extra courage that differentiates it from others.
L. Laureati in “Vernissage – Il fotogiornale dell’arte”, dicembre 1988.
Realizzato negli anni 1965-1966, il lavoro Esplosione frammento di Franco Angeli si caratterizza per avere quale soggetto uno dei motivi distintivi e più iconici dell'artista: il mezzo dollaro, ossia la moneta americana da cinquanta centesimi. Angeli, uno dei leader della Scuola Piazza del Popolo – come venne definita successivamente –, gruppo di artisti che vivevano e lavoravano a Roma nei primi anni '60, fu attivo politicamente fin dalla tenera età. Fu membro negli anni '50 della sezione del partito comunista di Campo Marzio, tanto che i suoi ideali e interessi politici influenzarono a fondo la sua produzione artistica. Dalla realizzazione di velati monocromi attribuiti ai primi anni '60, Angeli giunse ad inserire nella sua opera una serie di potenti simboli e riferimenti politici, spesso controversi, come la stella di Davide, la svastica, la falce e il martello, nonché allusioni a eventi quali il coinvolgimento della Francia nella guerra in Algeria, e il rovesciamento del regime fascista a Cuba da parte delle forze di Fidel Castro.
Poiché l'influenza dell'America era avvertita a Roma negli anni '60, egli scelse di fare proprio il simbolismo iconografico di quel paese e, nello specifico, identificò gli emblemi che davano modo di evidenziare la crescente potenza del capitalismo americano. Angeli giunse alla consapevolezza che utilizzando l'onnipresente e immediatamente riconoscibile immagine impressa sul mezzo dollaro, per molti versi assimilabile ai coevi Dollar Bills di Andy Warhol – benché questa serie si presentava apolitica nel suo significato intrinseco –, poteva affrontare nel miglior modo possibile il potere apparentemente indomito degli Stati Uniti nell'era del dopoguerra.
Come di consuetudine nei lavori di Angeli, Esplosione frammento presenta un'immagine sconnessa che di conseguenza vela e oscura la comprensione immediata del soggetto. Le ali dell'aquila – simbolo iconico degli Stati Uniti – dominano la composizione, fiancheggiate da un treno di stelle e dalle lettere appena visibili che compongono l'inconfondibile frase "Stati Uniti d'America".
Executed in 1965-1966, Franco Angeli’s Esplosione frammento takes as its subject one of the artist’s defining and most iconic motifs: the half-dollar, the American fifty-cent coin. One of the leading members of the later-named Scuola di Piazza del Popolo, a group of artists living and working in Rome in the early 1960s, Angeli had been politically active from an early age. A member of the Campo Marzio Communist party in Rome during the 1950s, his political beliefs and interests influenced his artmaking greatly. Progressing from the veiled monochrome works of the early 1960s, Angeli came to embrace a range of powerful, often controversial, political symbols and references in his work, including the Star of David, swastikas, the hammer and sickle, and allusions to events such as the French involvement in the Algerian war and the overturning of the Fascist regime by Fidel Castro’s forces in Cuba.
As the influence of America made itself felt in Rome during the 1960s, so Angeli turned to the iconographic symbolism of the USA, and in particular, the symbols that addressed the ever-growing might of American Capitalism. In many ways akin to Andy Warhol’s concurrent Dollar Bills – although this was a series that was supposedly apolitical in its meaning – Angeli found that the ubiquitous, immediately recognisable imagery that was imprinted on the half-dollar was the greatest means through which he could address the seemingly indomitable power of the USA in the post-war era. As is typical of Angeli’s practice, Esplosione frammento presents a fragmented image that veils and obscures the immediate comprehension of the subject. The wing of the eagle – the defining symbol of the USA – dominates the composition, flanked by a trail of stars, and the just visible letters that make up the unmistakable phrase: ‘United States of America’.