Lot Essay
"Quando realizzo un lavoro voglio sempre portarlo a termine, benché questo mi costi una grande fatica emotiva poiché ho la sensazione che il fruitore possa leggere chiaramente cosa ho visto e sentito".
"In executing a work, I have always wanted to end up, even if it costs me great pains, with the feeling that the viewer could read clearly what I have seen and felt".
ANTONIO DONGHI
Caratterizzata da un senso di quiete eterea, l'opera Ragazzi alla finestra di Antonio Donghi è pervasa da un'atmosfera surreale, inquietante, quasi onirica, che trasforma l'innocua scena domestica che abbiamo davanti in un episodio strano, ultraterreno, il cui significato è destinato a rimanere un mistero per lo spettatore. I due giovani ragazzi, ai quali fa riferimento il titolo, sono completamente assorti nell'osservazione degli oggetti che hanno in mano – utensili ludici per creare le bolle di sapone e un piccolo garofano rosso – mentre il loro tutore, una bellissima giovane donna, guarda in lontananza, completamente persa nei suoi pensieri. Si evince uno sconcertante immobilismo in ciascuna delle figure, rese completamente bloccate dallo sguardo intenso dell'artista, quasi fossero raggelate. Lo stesso aspetto caratterizza l'uccello in gabbia, immobile e silenzioso sul suo trespolo, sospeso, in maniera del tutto improbabile, sulle loro teste. Con l'intensa immobilità così come con la giustapposizione di qualità realistiche e aliene, composizioni quali Ragazzi alla finestra generano un poetica indiretta e peculiare illustrando magnificamente quel " Realismo magico " che caratterizza in modo univoco l'opera di Donghi: tali peculiarità evidenziano inoltre le similitudini intrinseche che è possibile individuare tra la sua visione e il lavoro del surrealista belga, René Magritte.
Dopo Il pappagallo del 1923, I Cardinali del 1926, il Canarino del 1927, Donghi riprende uno dei suoi soggetti più emblematici, verificando le nuove caratteristiche della sua pittura, che nel corso degli anni ha subito ripetute variazioni.
La pellicola pittorica diventa più sottile e i colori si arricchiscono di nuove tonalità, che si accostano in modo imprevedibile contribuendo al clima irreale percepito nelle sue opere. Donghi riprenderà questo soggetto anche nel dipinto Ragazzi alla finestra del 1947, dove la gabbia con il canarino viene accostata a un simbolo di vanitas come le bolle di sapone.
Le figure di Donghi non partono dal vero per rielaborarlo in modo iconico o armonico, ma dall’esperienza metafisica per ritrovare, nelle statue e nei manichini, una probabile carnalità.
È finito il vento dell’avanguardia perché l’Europa ha sofferto la distruzione vera: l’ansia dei cubismi e dei fauvismi, dei futurismi e degli espressionismi, si è tramutata in una effettiva angoscia esistenziale.
È negli anni tra il 1920 e il 1923 (nei quali si consuma anche l’apprendistato pittorico di Donghi) che si dibatte sul nuovo linguaggio. Già nel 1925 scompare la crisalide sofferente: l’assatanata farfalla si chiamerà di volta in volta “Realismo magico”, “Neoclassicismo”, “Nach Expressionismus”, “Neue Sachlichkeit”, “Verismo”. In tutta la smania del “ritorno al mestiere” (di cui De Chirico si è fatto messia e poi agnello sacrificale), in tutta la volontà di superare il futurismo, ma con una visione del reale che non può non tenere conto di quelle avanguardistiche esperienze.
Quello del fotogramma bloccato è uno dei luoghi comuni più invitanti che suscita la pittura di Antonio Donghi. E molta letteratura si è fatta su un quadro visto come dagherrotipo o come foto di gruppo in un interno incantato dal flash. E invece, un rapporto più segreto tra questi occhi sbarrati, queste pose sforzate, questi sguardi sghembi, si può trovare con l’immagine complessa e sublimata del film muto. Lo ha detto lo stesso artista in un sorprendente discorso sul cinema nel quale ricorda di aver assistito “a tutte le prime senza distinzione”, ma di essere qualcosa di più di uno spettatore (“Sono un grande critico: me lo sento nel sangue”). Qual è il cinema che preferisce? È ovvio che il suo sguardo si rivolga con maggiore interesse al cinema tedesco (“pochissime pellicole, ma tutte di primissimo ordine”) e a Marlene Dietrich come simbolo di carne (“L’angelo azzurro...capolavori che hanno qualcosa di straordinario”; perfino la Garbo non ha mai raggiunto il livello della Dietrich “Nel film Marocco, per esempio, c’era sempre un po’ dell’angelo azzurro, della donna da cabaret con il tubino”)
(M. Fagiolo Dell'Arco, V. Rivosecchi, Antonio Donghi: vita e opere, Torino 1990)
Filled with an ethereal sense of stillness, Antonio Donghi’s Ragazzi alla finestra is infused with a surreal, disquieting, almost dream-like atmosphere, which transforms the innocuous domestic scene before us into a strange, otherworldly episode, the meaning of which remains a mystery to the viewer. The two young boys of the title are preoccupied by the objects they hold in their hands – namely, playful utensils for blowing bubbles and a small, red carnation – while their guardian, a beautiful young woman, gazes off into the distance, completely lost in thought. There is a disconcerting immobility to each of the figures, as if they have been frozen in time, rendered completely motionless by the power of the artist’s gaze. This extends to the caged bird, which sits still and silent upon its perch, suspended above their heads so that it seems to float, almost impossibly, in mid-air. With their intense stillness and the juxtaposition of realistic and alien qualities, compositions such as Ragazzi alla finestra generate an oblique, peculiar poetry that illustrates Donghi’s unique brand of ‘Magic Realism,’ while also highlighting the inherent similarities between the artist’s vision and the works of the Belgian Surrealist, René Magritte.
After Il pappagallo of 1923, Cardinali of 1926 and Canarino of 1927, Donghi once again took up one of his most emblematic subjects, confirming the new characteristics of his painting, which over the years had undergone repeated variations.
The pictorial film becomes thinner and the colours are enriched with new shades, which are juxtaposed in unpredictable combinations, contributing to the unreal atmosphere perceived in his works. Donghi would also re-present this subject also in the painting Ragazzi alla finestra of 1947, in which the canary in a cage is paired with a symbol of vanitas like soap bubbles.
Donghi’s figures do not take their form from reality in order to rework it in an iconic or harmonic manner, rather they emerge from a metaphysical experience: seeking the probable carnality of the statues and mannequins.
The avant-garde storm was over, Europe had suffered real destruction: the anxiety of Cubism and Fauvism, of Futurism and Expressionism, had all transformed into true existential angst.
During the years between 1920 and 1923 (a period which encompassed the artist’s painting apprenticeship) Donghi struggled with his new artistic language. By 1925, the suffering chrysalis had already disappeared, and the possessed butterfly would be defined as "magical realism", "Neoclassicism", "Nach Expressionismus", "Neue Sachlichkeit" or even "Verismo". A language that fed off the hype surrounding the "Return to Craft" (of which De Chirico became the Messiah and later, the sacrificial lamb), and drive to succeed Futurism, but with a vision of reality that could not ignore the experience of the avant-garde.
The freeze-frame is one of the most inviting clichés used to evoke the painting of Antonio Donghi. Much literature has been written on the vision of painting as Daguerre-o-typical or as groups of figures in an interior seemingly enchanted by a flash. However, a more secretive relationship between these wide-eyed eyes, strained poses and crooked stares can be found within the complex and sublimated image of silent film. The artist himself mentioned this in a surprising speech about cinema, in which he recalled attending "every first screening without exception", but as something more than a spectator ("I am a great critic: I feel it in my blood"). Which cinematic style did he prefer? It is obvious that his gaze looked towards the world of German cinema with greater interest ("very few films, but all of the highest order") and to Marlene Dietrich as a symbol of carnal (beauty) ("The Blue Angel... masterpieces that have something extraordinary"; even Garbo has never reached the level of Dietrich "In the film Morocco, for example, there was always a bit of the blue angel, of the cabaret woman with the sheath dress”.
(M. Fagiolo Dell'Arco, V. Rivosecchi, Antonio Donghi: life and works, Turin 1990)
"In executing a work, I have always wanted to end up, even if it costs me great pains, with the feeling that the viewer could read clearly what I have seen and felt".
ANTONIO DONGHI
Caratterizzata da un senso di quiete eterea, l'opera Ragazzi alla finestra di Antonio Donghi è pervasa da un'atmosfera surreale, inquietante, quasi onirica, che trasforma l'innocua scena domestica che abbiamo davanti in un episodio strano, ultraterreno, il cui significato è destinato a rimanere un mistero per lo spettatore. I due giovani ragazzi, ai quali fa riferimento il titolo, sono completamente assorti nell'osservazione degli oggetti che hanno in mano – utensili ludici per creare le bolle di sapone e un piccolo garofano rosso – mentre il loro tutore, una bellissima giovane donna, guarda in lontananza, completamente persa nei suoi pensieri. Si evince uno sconcertante immobilismo in ciascuna delle figure, rese completamente bloccate dallo sguardo intenso dell'artista, quasi fossero raggelate. Lo stesso aspetto caratterizza l'uccello in gabbia, immobile e silenzioso sul suo trespolo, sospeso, in maniera del tutto improbabile, sulle loro teste. Con l'intensa immobilità così come con la giustapposizione di qualità realistiche e aliene, composizioni quali Ragazzi alla finestra generano un poetica indiretta e peculiare illustrando magnificamente quel " Realismo magico " che caratterizza in modo univoco l'opera di Donghi: tali peculiarità evidenziano inoltre le similitudini intrinseche che è possibile individuare tra la sua visione e il lavoro del surrealista belga, René Magritte.
Dopo Il pappagallo del 1923, I Cardinali del 1926, il Canarino del 1927, Donghi riprende uno dei suoi soggetti più emblematici, verificando le nuove caratteristiche della sua pittura, che nel corso degli anni ha subito ripetute variazioni.
La pellicola pittorica diventa più sottile e i colori si arricchiscono di nuove tonalità, che si accostano in modo imprevedibile contribuendo al clima irreale percepito nelle sue opere. Donghi riprenderà questo soggetto anche nel dipinto Ragazzi alla finestra del 1947, dove la gabbia con il canarino viene accostata a un simbolo di vanitas come le bolle di sapone.
Le figure di Donghi non partono dal vero per rielaborarlo in modo iconico o armonico, ma dall’esperienza metafisica per ritrovare, nelle statue e nei manichini, una probabile carnalità.
È finito il vento dell’avanguardia perché l’Europa ha sofferto la distruzione vera: l’ansia dei cubismi e dei fauvismi, dei futurismi e degli espressionismi, si è tramutata in una effettiva angoscia esistenziale.
È negli anni tra il 1920 e il 1923 (nei quali si consuma anche l’apprendistato pittorico di Donghi) che si dibatte sul nuovo linguaggio. Già nel 1925 scompare la crisalide sofferente: l’assatanata farfalla si chiamerà di volta in volta “Realismo magico”, “Neoclassicismo”, “Nach Expressionismus”, “Neue Sachlichkeit”, “Verismo”. In tutta la smania del “ritorno al mestiere” (di cui De Chirico si è fatto messia e poi agnello sacrificale), in tutta la volontà di superare il futurismo, ma con una visione del reale che non può non tenere conto di quelle avanguardistiche esperienze.
Quello del fotogramma bloccato è uno dei luoghi comuni più invitanti che suscita la pittura di Antonio Donghi. E molta letteratura si è fatta su un quadro visto come dagherrotipo o come foto di gruppo in un interno incantato dal flash. E invece, un rapporto più segreto tra questi occhi sbarrati, queste pose sforzate, questi sguardi sghembi, si può trovare con l’immagine complessa e sublimata del film muto. Lo ha detto lo stesso artista in un sorprendente discorso sul cinema nel quale ricorda di aver assistito “a tutte le prime senza distinzione”, ma di essere qualcosa di più di uno spettatore (“Sono un grande critico: me lo sento nel sangue”). Qual è il cinema che preferisce? È ovvio che il suo sguardo si rivolga con maggiore interesse al cinema tedesco (“pochissime pellicole, ma tutte di primissimo ordine”) e a Marlene Dietrich come simbolo di carne (“L’angelo azzurro...capolavori che hanno qualcosa di straordinario”; perfino la Garbo non ha mai raggiunto il livello della Dietrich “Nel film Marocco, per esempio, c’era sempre un po’ dell’angelo azzurro, della donna da cabaret con il tubino”)
(M. Fagiolo Dell'Arco, V. Rivosecchi, Antonio Donghi: vita e opere, Torino 1990)
Filled with an ethereal sense of stillness, Antonio Donghi’s Ragazzi alla finestra is infused with a surreal, disquieting, almost dream-like atmosphere, which transforms the innocuous domestic scene before us into a strange, otherworldly episode, the meaning of which remains a mystery to the viewer. The two young boys of the title are preoccupied by the objects they hold in their hands – namely, playful utensils for blowing bubbles and a small, red carnation – while their guardian, a beautiful young woman, gazes off into the distance, completely lost in thought. There is a disconcerting immobility to each of the figures, as if they have been frozen in time, rendered completely motionless by the power of the artist’s gaze. This extends to the caged bird, which sits still and silent upon its perch, suspended above their heads so that it seems to float, almost impossibly, in mid-air. With their intense stillness and the juxtaposition of realistic and alien qualities, compositions such as Ragazzi alla finestra generate an oblique, peculiar poetry that illustrates Donghi’s unique brand of ‘Magic Realism,’ while also highlighting the inherent similarities between the artist’s vision and the works of the Belgian Surrealist, René Magritte.
After Il pappagallo of 1923, Cardinali of 1926 and Canarino of 1927, Donghi once again took up one of his most emblematic subjects, confirming the new characteristics of his painting, which over the years had undergone repeated variations.
The pictorial film becomes thinner and the colours are enriched with new shades, which are juxtaposed in unpredictable combinations, contributing to the unreal atmosphere perceived in his works. Donghi would also re-present this subject also in the painting Ragazzi alla finestra of 1947, in which the canary in a cage is paired with a symbol of vanitas like soap bubbles.
Donghi’s figures do not take their form from reality in order to rework it in an iconic or harmonic manner, rather they emerge from a metaphysical experience: seeking the probable carnality of the statues and mannequins.
The avant-garde storm was over, Europe had suffered real destruction: the anxiety of Cubism and Fauvism, of Futurism and Expressionism, had all transformed into true existential angst.
During the years between 1920 and 1923 (a period which encompassed the artist’s painting apprenticeship) Donghi struggled with his new artistic language. By 1925, the suffering chrysalis had already disappeared, and the possessed butterfly would be defined as "magical realism", "Neoclassicism", "Nach Expressionismus", "Neue Sachlichkeit" or even "Verismo". A language that fed off the hype surrounding the "Return to Craft" (of which De Chirico became the Messiah and later, the sacrificial lamb), and drive to succeed Futurism, but with a vision of reality that could not ignore the experience of the avant-garde.
The freeze-frame is one of the most inviting clichés used to evoke the painting of Antonio Donghi. Much literature has been written on the vision of painting as Daguerre-o-typical or as groups of figures in an interior seemingly enchanted by a flash. However, a more secretive relationship between these wide-eyed eyes, strained poses and crooked stares can be found within the complex and sublimated image of silent film. The artist himself mentioned this in a surprising speech about cinema, in which he recalled attending "every first screening without exception", but as something more than a spectator ("I am a great critic: I feel it in my blood"). Which cinematic style did he prefer? It is obvious that his gaze looked towards the world of German cinema with greater interest ("very few films, but all of the highest order") and to Marlene Dietrich as a symbol of carnal (beauty) ("The Blue Angel... masterpieces that have something extraordinary"; even Garbo has never reached the level of Dietrich "In the film Morocco, for example, there was always a bit of the blue angel, of the cabaret woman with the sheath dress”.
(M. Fagiolo Dell'Arco, V. Rivosecchi, Antonio Donghi: life and works, Turin 1990)