Lot Essay
“Non vorrei riprodurre, ma reinventare la struttura della luce in modo attinente alla pittura e non all'ottica”
"I would like not to reproduce but to reinvent the structure of light in a way pertinent to painting rather than to optics"
PIERO DORAZIO
Mira II (1961) è un'astrazione immediatamente riconoscibile di Piero Dorazio: una fitta e cangiante rete di tratti rosa, arancio e turchese intrecciati su un fondo bianco. La scintillante maglia di colore è data da una miriade di matasse di pittura traslucida che, sovrapposte e intersecate, creano una trama cromatica vibrante di luce e sensazioni. Al cuore della pratica artistica di Dorazio sta il dialogo continuo con l'esperienza visiva. Evolvendosi dai primi esperimenti con le griglie di Mondrian, le tele di Dorazio della fine degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta incarnano il suo fascinazione per la consapevolezza della visione.
Nel 1953 Dorazio si recò negli Stati Uniti dove incontrò il critico Clement Greenberg e, tra gli altri, gli artisti Robert Motherwell e Mark Rothko da cui assorbì alcuni degli stessi temi utopici che avevano connotato il lavoro degli Espressionisti astratti e degli artisti che dipingevano servendosi della tecnica pittorica a campiture di colore. Trascorse parecchio tempo tra New York e Philadelphia, tanto che iniziò a insegnare arte alla University of Pennsylvania. Altra fonte di ispirazione furono la velocità e le vibrazioni cromatiche delle opere del futurista Giacomo Balla, del quale visitava spesso lo studio a Roma e che divenne un suo grande amico. Gradualmente Dorazio cristallizzò il suo linguaggio in strutture reticolari astratte in grado di comunicare quelle che egli vedeva come esperienze fenomenologiche universali di luce e colore. Questa è la visione che ha esplorato in opere come Mira II.
Tuttavia, se le sue composizioni astratte si occupavano della dinamica della superficie, la loro struttura regolare le distingueva dalle opere più gestuali degli Espressionisti Astratti. Mira II, che risplende di una logica rigorosa e analitica, racchiude in sé l'approccio unico di Dorazio alle dinamiche visive. Come ha scritto lo storico dell'arte Edward S. Fry: “Una pittura di questo tipo non nasce come risultato di una catarsi psichica. È, al contrario, una celebrazione della libertà, della consapevolezza di sé e del controllo che sostengono i più alti livelli della coscienza classica” (E. Fry, “Piero Dorazio e la crisi dei valori europei”, in Piero Dorazio: A Retrospective, catalogo della mostra, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo, New York 1980, p. 23).
A dense, iridescent network of pink, orange and turquoise strokes woven over a white ground, Mira II (1961) is an instantly recognisable abstraction by Piero Dorazio. The vivid mesh of colour is formed of myriad overlaid and intersecting skeins of translucent paint, creating a patterned chromatic web that vibrates with light and sensation. An ongoing dialogue with optical experience lay at the heart of Dorazio’s practice. Evolving from his earlier experiments with Mondrian-esque grids, Dorazio’s canvases of the late 1950s and early 1960s embody his fascination with visual consciousness.
In 1953, Dorazio had travelled to the United States, where he met the critic Clement Greenberg and the artists Robert Motherwell and Mark Rothko, among others, and absorbed some of the same utopian themes that occupied the Abstract Expressionists and Colour Field painters. Dorazio continued to spend time in New York and Philadelphia, eventually teaching art at the University of Pennsylvania. He was also inspired by the velocity and vivid colour of the works of the Italian Futurist Giacomo Balla, whose studio in Rome he would visit often, and who became a close friend. Gradually, Dorazio crystallised his own language of reticular abstract structures that could communicate what he saw as universal, phenomenological experiences of light and colour: a vision he explored in works such as Mira II.
While his compositions were non-representational and concerned with the dynamics of surface, their regulated patterning distinguished them from the more gestural works of the Abstract Expressionists. Shimmering with a tight, analytical logic, Mira II encapsulates Dorazio’s unique approach to the dynamics of seeing. As art historian Edward S. Fry wrote, ‘Painting of this kind does not come about as the result of psychic catharsis. It is to the contrary a celebration of the freedom, control, and self-awareness that support the highest levels of classical consciousness’ (E. Fry, ‘Piero Dorazio and the Crisis of European Values’, in Piero Dorazio: A Retrospective, exh. cat., Albright-Knox Art Gallery, Buffalo, New York 1980, p. 23).
"I would like not to reproduce but to reinvent the structure of light in a way pertinent to painting rather than to optics"
PIERO DORAZIO
Mira II (1961) è un'astrazione immediatamente riconoscibile di Piero Dorazio: una fitta e cangiante rete di tratti rosa, arancio e turchese intrecciati su un fondo bianco. La scintillante maglia di colore è data da una miriade di matasse di pittura traslucida che, sovrapposte e intersecate, creano una trama cromatica vibrante di luce e sensazioni. Al cuore della pratica artistica di Dorazio sta il dialogo continuo con l'esperienza visiva. Evolvendosi dai primi esperimenti con le griglie di Mondrian, le tele di Dorazio della fine degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta incarnano il suo fascinazione per la consapevolezza della visione.
Nel 1953 Dorazio si recò negli Stati Uniti dove incontrò il critico Clement Greenberg e, tra gli altri, gli artisti Robert Motherwell e Mark Rothko da cui assorbì alcuni degli stessi temi utopici che avevano connotato il lavoro degli Espressionisti astratti e degli artisti che dipingevano servendosi della tecnica pittorica a campiture di colore. Trascorse parecchio tempo tra New York e Philadelphia, tanto che iniziò a insegnare arte alla University of Pennsylvania. Altra fonte di ispirazione furono la velocità e le vibrazioni cromatiche delle opere del futurista Giacomo Balla, del quale visitava spesso lo studio a Roma e che divenne un suo grande amico. Gradualmente Dorazio cristallizzò il suo linguaggio in strutture reticolari astratte in grado di comunicare quelle che egli vedeva come esperienze fenomenologiche universali di luce e colore. Questa è la visione che ha esplorato in opere come Mira II.
Tuttavia, se le sue composizioni astratte si occupavano della dinamica della superficie, la loro struttura regolare le distingueva dalle opere più gestuali degli Espressionisti Astratti. Mira II, che risplende di una logica rigorosa e analitica, racchiude in sé l'approccio unico di Dorazio alle dinamiche visive. Come ha scritto lo storico dell'arte Edward S. Fry: “Una pittura di questo tipo non nasce come risultato di una catarsi psichica. È, al contrario, una celebrazione della libertà, della consapevolezza di sé e del controllo che sostengono i più alti livelli della coscienza classica” (E. Fry, “Piero Dorazio e la crisi dei valori europei”, in Piero Dorazio: A Retrospective, catalogo della mostra, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo, New York 1980, p. 23).
A dense, iridescent network of pink, orange and turquoise strokes woven over a white ground, Mira II (1961) is an instantly recognisable abstraction by Piero Dorazio. The vivid mesh of colour is formed of myriad overlaid and intersecting skeins of translucent paint, creating a patterned chromatic web that vibrates with light and sensation. An ongoing dialogue with optical experience lay at the heart of Dorazio’s practice. Evolving from his earlier experiments with Mondrian-esque grids, Dorazio’s canvases of the late 1950s and early 1960s embody his fascination with visual consciousness.
In 1953, Dorazio had travelled to the United States, where he met the critic Clement Greenberg and the artists Robert Motherwell and Mark Rothko, among others, and absorbed some of the same utopian themes that occupied the Abstract Expressionists and Colour Field painters. Dorazio continued to spend time in New York and Philadelphia, eventually teaching art at the University of Pennsylvania. He was also inspired by the velocity and vivid colour of the works of the Italian Futurist Giacomo Balla, whose studio in Rome he would visit often, and who became a close friend. Gradually, Dorazio crystallised his own language of reticular abstract structures that could communicate what he saw as universal, phenomenological experiences of light and colour: a vision he explored in works such as Mira II.
While his compositions were non-representational and concerned with the dynamics of surface, their regulated patterning distinguished them from the more gestural works of the Abstract Expressionists. Shimmering with a tight, analytical logic, Mira II encapsulates Dorazio’s unique approach to the dynamics of seeing. As art historian Edward S. Fry wrote, ‘Painting of this kind does not come about as the result of psychic catharsis. It is to the contrary a celebration of the freedom, control, and self-awareness that support the highest levels of classical consciousness’ (E. Fry, ‘Piero Dorazio and the Crisis of European Values’, in Piero Dorazio: A Retrospective, exh. cat., Albright-Knox Art Gallery, Buffalo, New York 1980, p. 23).