Lot Essay
“Ho cercato di lavorare con immagini che ciascuno vede o ha visto, mettendo in luce la loro essenza, affinché possano emergere le loro possibilità germinali e primarie. Guardare è la prima azione, poi ci si sofferma”
"I have tried to work with images that everyone sees or has seen, developing and mashedding light on their essence, their germinal and primary possibilities to emerge. Looking is the first action, then there is lingering"
MARIO SCHIFANO
Costruito per piani distinti dal colore marcatamente appiattito, Paesaggio anemico I (1964) può essere definito l’esempio per antonomasia della forma iconoclasta, irriverente e avvincente della pittura di paesaggio contemporanea – i cosiddetti Paesaggi anemici – che Mario Schifano realizzò intorno alla metà degli anni Sessanta del Novecento. Una selezione di questi dipinti fu esposta alla Biennale di Venezia nel 1964, lo stesso anno in cui fu realizzata la nostra opera. Paesaggio anemico I è stato dipinto su due tele, accostate l’una sull’altra per un’altezza totale di oltre due metri, sulle quali Schifano ha letteralmente decostruito la rappresentazione di un paesaggio. L’artista sembra distillare nuvole, cielo e terra in zone piatte realizzate con smalto lucido – bianco, grigio chiaro, una grafite più scura e nero – e attraversate da striature geometriche, spirali di pigmento, forme stilizzate punteggiate di rosso vivo. Gli elementi rossi sottolineano la meccanica costruttiva del quadro, sembrano tenere insieme il dipinto quasi fossero punti metallici, impalcature o segmenti di nastro adesivo. Lontano dall'immagine evidente e illusoria di un ambiente esterno, Paesaggio anemico I è al contrario un oggetto autoriflessivo che mostra in modo lampante la propria materialità. I passaggi tra le tele sono animati da tratti gestuali e da sgocciolamenti, elementi che conferiscono alla composizione una bellezza tattile unica nell'opera di Schifano, mentre il titolo “paesaggio anemico” si inclina verso la parte inferiore destra, dando vita a un giocoso ed evanescente scarabocchio.
All'inizio degli anni Sessanta, Schifano si lasciò polemicamente alle spalle i grandi monocromi astratti e le immagini pop dei loghi della Esso e della Coca-Cola con cui aveva trovato fama internazionale, e abbracciò la tradizione classica della pittura di paesaggio. Si trattava di una mossa radicale in un'epoca in cui la pittura stava per essere considerata obsoleta: i contemporanei dell’artista si sottraevano infatti, nel loro lavoro, a tutti i segni di espressione soggettiva, e davano vita a opere neutre, oggettive e spersonalizzate, che non recavano alcuna traccia della mano dell'artista e che avevano poco a che fare con i modi di dipingere convenzionali. Con i suoi paesaggi, Schifano abbracciò la sfida della figurazione e del mezzo pittorico come una modalità di esplorazione della natura stessa della rappresentazione pittorica. Così come, quasi un secolo prima, Cézanne, Monet, Matisse ed altri avevano usato la pittura di paesaggio come veicolo per forzare i confini delle proprie esplorazioni artistiche, altrettanto fece Schifano, invocando ironicamente le tradizioni ed i concetti cari a quel genere pittorico filtrate dal suo sguardo dinamico e sfaccettato di uomo del Dopoguerra.
Queste opere fungono quindi da reinterpretazione parodica e postmoderna di questa modalità secolare. Utilizzando vernici industriali a smalto e una tecnica pittorica audace e poco ortodossa per creare i suoi Paesaggi anemici, Schifano ha sottolineato le finzioni che stanno alla base di ogni forma d'arte, sezionando le sue composizioni in modo che questi dipinti non rappresentino paesaggi ma piuttosto, come ha scritto Claire Gilman, "l'atto e il fatto di vedere se stesso; il mezzo materiale con cui vediamo" (C. Gilman, “Mario Schifano: Beyond the Monochrome”, in Mario Schifano 1960-67, catalogo della mostra, Luxembourg e Dayan, Londra, 2014, p. 15). Al tempo stesso visceralmente vivo e criticamente distaccato, Paesaggio anemico I non è da considerarsi come una finestra sul mondo, bensì uno strumento per rivelare le strutture e i processi grezzi della sua stessa creazione.
Built with distinct planes of boldly flattened colour, Paesaggio anemico I (1964) is a large and quintessential example of the iconoclastic, irreverent and compelling form of contemporary landscape painting – the so-called Paesaggi anemici or ‘Anaemic landscapes’ – that Mario Schifano created in the mid-1960s. He displayed a selection of these paintings at the Venice Biennale in 1964, the same year that the present work was made. Painted across two stacked canvases totalling over two metres in height, it sees Schifano quite literally deconstructing a depiction of a landscape. He distils clouds, sky and ground into flat zones of gleaming enamel – white, pale grey, a darker graphite, and black – which are shot through with geometric striations, loops of pigment and stencilled, strut-like forms in vivid red. Seeming to hold the painting together like staples, scaffolding or lengths of masking tape, these red bars underline the constructed mechanics of the picture. Far from a legible, illusory image of an outdoor scene, Paesaggio anemico I is instead a self-reflexive object, boldly displaying its own materiality. Passages of canvas are enlivened with gestural strokes and drips, lending the composition a tactile beauty unique to Schifano’s work; the title Paesaggio anemico drifts down towards the lower right in a playful, evanescent scrawl.
In the early 1960s, Schifano controversially left behind the large abstract monochromes and Pop-like images of Esso and Coca-Cola logos with which he had found international fame, and instead embraced the classical tradition of landscape painting. This was a radical move in an era when painting was coming to be regarded as obsolete. At the time, Schifano’s contemporaries were shunning all signs of subjective expression in their work, creating neutral, objective and depersonalised works that bore no trace of the artist’s hand, and held little connection to conventional modes of painting. With his landscapes, Schifano defiantly embraced figuration and the medium of paint as a way of exploring the very nature of pictorial representation itself. Just as Cézanne, Monet, Matisse and others had used landscape painting as a vehicle for boundary-pushing artistic explorations almost a century before, so Schifano did the same, playfully invoking the genre’s concepts and traditions from the vantage point of the dynamic, multi-faceted and rapidly changing post-war era.
As such, these works serve as a parodic, postmodern reinterpretation of this centuries-old mode. Using industrial enamel paints and a bold, unorthodox painterly technique to create the Paesaggi anemici, Schifano emphasised the fictions that underpin all forms of art, dissecting his compositions so that these paintings depict not landscapes but rather, as Claire Gilman has written, ‘the act and fact of viewing itself; the material means by which we see’ (C. Gilman, ‘Mario Schifano: Beyond the Monochrome’, in Mario Schifano 1960-67, exh. cat., Luxembourg & Dayan, London, 2014, p. 15). At once viscerally alive and critically detached, Paesaggio anemico I is no longer a window to the world, but instead reveals the raw structures and processes of its own creation.
"I have tried to work with images that everyone sees or has seen, developing and mashedding light on their essence, their germinal and primary possibilities to emerge. Looking is the first action, then there is lingering"
MARIO SCHIFANO
Costruito per piani distinti dal colore marcatamente appiattito, Paesaggio anemico I (1964) può essere definito l’esempio per antonomasia della forma iconoclasta, irriverente e avvincente della pittura di paesaggio contemporanea – i cosiddetti Paesaggi anemici – che Mario Schifano realizzò intorno alla metà degli anni Sessanta del Novecento. Una selezione di questi dipinti fu esposta alla Biennale di Venezia nel 1964, lo stesso anno in cui fu realizzata la nostra opera. Paesaggio anemico I è stato dipinto su due tele, accostate l’una sull’altra per un’altezza totale di oltre due metri, sulle quali Schifano ha letteralmente decostruito la rappresentazione di un paesaggio. L’artista sembra distillare nuvole, cielo e terra in zone piatte realizzate con smalto lucido – bianco, grigio chiaro, una grafite più scura e nero – e attraversate da striature geometriche, spirali di pigmento, forme stilizzate punteggiate di rosso vivo. Gli elementi rossi sottolineano la meccanica costruttiva del quadro, sembrano tenere insieme il dipinto quasi fossero punti metallici, impalcature o segmenti di nastro adesivo. Lontano dall'immagine evidente e illusoria di un ambiente esterno, Paesaggio anemico I è al contrario un oggetto autoriflessivo che mostra in modo lampante la propria materialità. I passaggi tra le tele sono animati da tratti gestuali e da sgocciolamenti, elementi che conferiscono alla composizione una bellezza tattile unica nell'opera di Schifano, mentre il titolo “paesaggio anemico” si inclina verso la parte inferiore destra, dando vita a un giocoso ed evanescente scarabocchio.
All'inizio degli anni Sessanta, Schifano si lasciò polemicamente alle spalle i grandi monocromi astratti e le immagini pop dei loghi della Esso e della Coca-Cola con cui aveva trovato fama internazionale, e abbracciò la tradizione classica della pittura di paesaggio. Si trattava di una mossa radicale in un'epoca in cui la pittura stava per essere considerata obsoleta: i contemporanei dell’artista si sottraevano infatti, nel loro lavoro, a tutti i segni di espressione soggettiva, e davano vita a opere neutre, oggettive e spersonalizzate, che non recavano alcuna traccia della mano dell'artista e che avevano poco a che fare con i modi di dipingere convenzionali. Con i suoi paesaggi, Schifano abbracciò la sfida della figurazione e del mezzo pittorico come una modalità di esplorazione della natura stessa della rappresentazione pittorica. Così come, quasi un secolo prima, Cézanne, Monet, Matisse ed altri avevano usato la pittura di paesaggio come veicolo per forzare i confini delle proprie esplorazioni artistiche, altrettanto fece Schifano, invocando ironicamente le tradizioni ed i concetti cari a quel genere pittorico filtrate dal suo sguardo dinamico e sfaccettato di uomo del Dopoguerra.
Queste opere fungono quindi da reinterpretazione parodica e postmoderna di questa modalità secolare. Utilizzando vernici industriali a smalto e una tecnica pittorica audace e poco ortodossa per creare i suoi Paesaggi anemici, Schifano ha sottolineato le finzioni che stanno alla base di ogni forma d'arte, sezionando le sue composizioni in modo che questi dipinti non rappresentino paesaggi ma piuttosto, come ha scritto Claire Gilman, "l'atto e il fatto di vedere se stesso; il mezzo materiale con cui vediamo" (C. Gilman, “Mario Schifano: Beyond the Monochrome”, in Mario Schifano 1960-67, catalogo della mostra, Luxembourg e Dayan, Londra, 2014, p. 15). Al tempo stesso visceralmente vivo e criticamente distaccato, Paesaggio anemico I non è da considerarsi come una finestra sul mondo, bensì uno strumento per rivelare le strutture e i processi grezzi della sua stessa creazione.
Built with distinct planes of boldly flattened colour, Paesaggio anemico I (1964) is a large and quintessential example of the iconoclastic, irreverent and compelling form of contemporary landscape painting – the so-called Paesaggi anemici or ‘Anaemic landscapes’ – that Mario Schifano created in the mid-1960s. He displayed a selection of these paintings at the Venice Biennale in 1964, the same year that the present work was made. Painted across two stacked canvases totalling over two metres in height, it sees Schifano quite literally deconstructing a depiction of a landscape. He distils clouds, sky and ground into flat zones of gleaming enamel – white, pale grey, a darker graphite, and black – which are shot through with geometric striations, loops of pigment and stencilled, strut-like forms in vivid red. Seeming to hold the painting together like staples, scaffolding or lengths of masking tape, these red bars underline the constructed mechanics of the picture. Far from a legible, illusory image of an outdoor scene, Paesaggio anemico I is instead a self-reflexive object, boldly displaying its own materiality. Passages of canvas are enlivened with gestural strokes and drips, lending the composition a tactile beauty unique to Schifano’s work; the title Paesaggio anemico drifts down towards the lower right in a playful, evanescent scrawl.
In the early 1960s, Schifano controversially left behind the large abstract monochromes and Pop-like images of Esso and Coca-Cola logos with which he had found international fame, and instead embraced the classical tradition of landscape painting. This was a radical move in an era when painting was coming to be regarded as obsolete. At the time, Schifano’s contemporaries were shunning all signs of subjective expression in their work, creating neutral, objective and depersonalised works that bore no trace of the artist’s hand, and held little connection to conventional modes of painting. With his landscapes, Schifano defiantly embraced figuration and the medium of paint as a way of exploring the very nature of pictorial representation itself. Just as Cézanne, Monet, Matisse and others had used landscape painting as a vehicle for boundary-pushing artistic explorations almost a century before, so Schifano did the same, playfully invoking the genre’s concepts and traditions from the vantage point of the dynamic, multi-faceted and rapidly changing post-war era.
As such, these works serve as a parodic, postmodern reinterpretation of this centuries-old mode. Using industrial enamel paints and a bold, unorthodox painterly technique to create the Paesaggi anemici, Schifano emphasised the fictions that underpin all forms of art, dissecting his compositions so that these paintings depict not landscapes but rather, as Claire Gilman has written, ‘the act and fact of viewing itself; the material means by which we see’ (C. Gilman, ‘Mario Schifano: Beyond the Monochrome’, in Mario Schifano 1960-67, exh. cat., Luxembourg & Dayan, London, 2014, p. 15). At once viscerally alive and critically detached, Paesaggio anemico I is no longer a window to the world, but instead reveals the raw structures and processes of its own creation.