Lot Essay
“Si parla in arte della quarta dimensione, di spazio, di arte spaziale; di tutto questo si hanno concetti errati o vaghi. Un sasso bucato, un elemento verso il cielo, una spirale, sono la conquista illusoria dello spazio, sono forme contenute nello spazio nella loro dimensione, meno una”
“In art we speak of the fourth dimension, of space, of spatial art; of all this there are [many] incorrect or vague concepts. A pitted stone, a skybound element, a spiral, are the illusory conquest of space, they are forms contained in space in their dimension, minus one"
LUCIO FONTANA
[Concetto spaziale, Teatrino] (1965) è un esempio al tempo stesso sorprendente e insolito dei Teatrini di Lucio Fontana: una serie sperimentale ed esuberante di lavori ibridi tra la pittura e la scultura che l'artista realizzò tra il 1964 e il 1966. Eseguiti contestualmente agli olii, ai buchi, ai tagli e al celebre ciclo La fine di Dio, i Teatrini rappresentano una giocosa incarnazione visiva delle idee spazialiste che Fontana aveva esplorato sin dalla fine degli anni Quaranta. Generalmente erano costituiti da una cornice nera laccata – spesso dal profilo biomorfo o paesaggistico – posta in primo piano rispetto a una superficie forata, che dava l’idea di una scenografia scenica posta in primo piano rispetto a un fondale teatrale. La cornice di quest’opera è però di ottone lucido e racchiude una fenditura di tela nera che sembra dispiegarsi nella dimensione "spaziale", benché manchi l’idea di apertura data dai buchi di Fontana. Il contorno dorato e luccicante si declina in morfologie organiche che ricordano i riccioli del barocco così come i "ritagli di carta vegetale" di Matisse: tali forme sembrano vorticare come nuvole colte da un movimento violento in uno spazio aperto.
Come Fontana spiegò "I Teatrini erano un tipo di 'Spazialismo realistico', anche un po’ alla maniera della Pop Art… ma sempre a modo mio. Erano forme che l’uomo immagina nello spazio" (Fontana citato in P. Gottschaller, Lucio Fontana: The Artist’s Materials, Los Angeles, 2012, p. 114). Riprendendo in parte la figurazione audace, elegante e stilizzata che caratterizzava la Pop Art della metà degli anni Sessanta, nei Teatrini l’artista introdusse elementi di design più concreti rispetto alla sua estetica prevalentemente astratta. Nell’opera [Concetto spaziale, Teatrino] gli arabeschi che sporgono dalla cornice evocano una ricchezza di associazioni fantasiose: dalla base della cornice si dirige verso l'alto una forma indistinta, come un liquido spruzzato, del vapore, una pianta o un corallo ramificato. Oltre alla Pop Art, il lavoro si presenta come debitore di motivi scultorei dinamici attribuibili al periodo barocco. "[Il] barocco rappresentò un salto in avanti" scrisse nel Manifesto Blanco nel 1946, "rappresentò infatti lo spazio con una tale magnificenza da essere ancora incontrastata, e aggiunse alle arti plastiche la nozione di tempo. Le figure parevano abbandonare la superficie piana per continuare a muoversi nello spazio" (Manifesto Blanco, Buenos Aires 1946, in E. Crispolti et al. (a cura di), Lucio Fontana, Milano 1998, p. 115). Infatti il barocco, nel suo marcato artificio così come nel suo moto estravagante, può essere definito lo stile teatrale perfetto. Inserito in una cornice opulenta, lo spazio dell’opera [Concetto spaziale, Teatrino] diviene essa stesso lo spettacolo, e colui che la osserva il pubblico. Il nucleo centrale delle tenebre diventa il punto di passaggio verso un’altra dimensione, pieno di mistero e magia.
[Concetto spaziale, Teatrino] (1965) is a striking and unusual example of Lucio Fontana’s Teatrini, or ‘little theatres’: an experimental, exuberant series of hybrid painting-sculptures that the artist created between 1964 and 1966. Executed alongside the olii, buchi, tagli and his renowned cycle La fine di Dio, the Teatrini represent a playful visual incarnation of the Spatialist ideas which Fontana had been exploring since the late 1940s. They consisted typically of a black, lacquered frame – often biomorphic or landscape-like in profile – set over a punctured picture plane, creating the effect of stage scenery in front of a theatrical backdrop. In the present work, the frame is instead of polished brass, enclosing an aperture of untouched black canvas which itself seems to unfold into the ‘spatial’ dimension, even without the opening of Fontana’s buchi. The gleaming, golden surround billows in organic shapes which resemble the gilded curlicues of the Baroque no less than Matisse’s vegetal paper ‘cut-outs’; these forms seem to swirl like clouds before a vast drama of open space.
As Fontana explained, ‘The Teatrini were a type of “realistic Spatialism”. Also a little bit in the fashion of these Pop Art things … but still in my way. They were forms that Man imagines in space’ (Fontana quoted in P. Gottschaller, Lucio Fontana: The Artist’s Materials, Los Angeles, 2012, p. 114). Partly responding to the bold, slick and stylised figuration that characterised Pop Art in the mid-1960s, the Teatrini saw Fontana introducing more concrete elements of design to his predominantly abstract aesthetic. In [Concetto spaziale, Teatrino], the arabesques that protrude from the frame conjure a wealth of imaginative associations: a nebulous form, like splashed liquid, vapour or a branching plant or coral, grows upwards from the base of the frame. Beyond Pop, the work’s debt to the dynamic sculptural motifs of the Baroque period is also clear. ‘[The] Baroque was a leap ahead’, Fontana had written in his 1946 Manifesto Blanco; ‘… it represented space with a magnificence that is still unsurpassed and added the notion of time to the plastic arts. The figures seemed to abandon the flat surface and continue the represented movements in space’ (Manifesto Blanco, Buenos Aires 1946, in E. Crispolti et al. (eds.), Lucio Fontana, Milan 1998, p. 115). Indeed, the Baroque, in its heightened artifice and extravagant motion, might be said to be the ultimate theatrical style. Delineated by its opulent frame, in [Concetto spaziale, Teatrino] space becomes the spectacle, and the viewer the audience; the central pool of darkness acts as a portal to another dimension, full of mystery and magic.
“In art we speak of the fourth dimension, of space, of spatial art; of all this there are [many] incorrect or vague concepts. A pitted stone, a skybound element, a spiral, are the illusory conquest of space, they are forms contained in space in their dimension, minus one"
LUCIO FONTANA
[Concetto spaziale, Teatrino] (1965) è un esempio al tempo stesso sorprendente e insolito dei Teatrini di Lucio Fontana: una serie sperimentale ed esuberante di lavori ibridi tra la pittura e la scultura che l'artista realizzò tra il 1964 e il 1966. Eseguiti contestualmente agli olii, ai buchi, ai tagli e al celebre ciclo La fine di Dio, i Teatrini rappresentano una giocosa incarnazione visiva delle idee spazialiste che Fontana aveva esplorato sin dalla fine degli anni Quaranta. Generalmente erano costituiti da una cornice nera laccata – spesso dal profilo biomorfo o paesaggistico – posta in primo piano rispetto a una superficie forata, che dava l’idea di una scenografia scenica posta in primo piano rispetto a un fondale teatrale. La cornice di quest’opera è però di ottone lucido e racchiude una fenditura di tela nera che sembra dispiegarsi nella dimensione "spaziale", benché manchi l’idea di apertura data dai buchi di Fontana. Il contorno dorato e luccicante si declina in morfologie organiche che ricordano i riccioli del barocco così come i "ritagli di carta vegetale" di Matisse: tali forme sembrano vorticare come nuvole colte da un movimento violento in uno spazio aperto.
Come Fontana spiegò "I Teatrini erano un tipo di 'Spazialismo realistico', anche un po’ alla maniera della Pop Art… ma sempre a modo mio. Erano forme che l’uomo immagina nello spazio" (Fontana citato in P. Gottschaller, Lucio Fontana: The Artist’s Materials, Los Angeles, 2012, p. 114). Riprendendo in parte la figurazione audace, elegante e stilizzata che caratterizzava la Pop Art della metà degli anni Sessanta, nei Teatrini l’artista introdusse elementi di design più concreti rispetto alla sua estetica prevalentemente astratta. Nell’opera [Concetto spaziale, Teatrino] gli arabeschi che sporgono dalla cornice evocano una ricchezza di associazioni fantasiose: dalla base della cornice si dirige verso l'alto una forma indistinta, come un liquido spruzzato, del vapore, una pianta o un corallo ramificato. Oltre alla Pop Art, il lavoro si presenta come debitore di motivi scultorei dinamici attribuibili al periodo barocco. "[Il] barocco rappresentò un salto in avanti" scrisse nel Manifesto Blanco nel 1946, "rappresentò infatti lo spazio con una tale magnificenza da essere ancora incontrastata, e aggiunse alle arti plastiche la nozione di tempo. Le figure parevano abbandonare la superficie piana per continuare a muoversi nello spazio" (Manifesto Blanco, Buenos Aires 1946, in E. Crispolti et al. (a cura di), Lucio Fontana, Milano 1998, p. 115). Infatti il barocco, nel suo marcato artificio così come nel suo moto estravagante, può essere definito lo stile teatrale perfetto. Inserito in una cornice opulenta, lo spazio dell’opera [Concetto spaziale, Teatrino] diviene essa stesso lo spettacolo, e colui che la osserva il pubblico. Il nucleo centrale delle tenebre diventa il punto di passaggio verso un’altra dimensione, pieno di mistero e magia.
[Concetto spaziale, Teatrino] (1965) is a striking and unusual example of Lucio Fontana’s Teatrini, or ‘little theatres’: an experimental, exuberant series of hybrid painting-sculptures that the artist created between 1964 and 1966. Executed alongside the olii, buchi, tagli and his renowned cycle La fine di Dio, the Teatrini represent a playful visual incarnation of the Spatialist ideas which Fontana had been exploring since the late 1940s. They consisted typically of a black, lacquered frame – often biomorphic or landscape-like in profile – set over a punctured picture plane, creating the effect of stage scenery in front of a theatrical backdrop. In the present work, the frame is instead of polished brass, enclosing an aperture of untouched black canvas which itself seems to unfold into the ‘spatial’ dimension, even without the opening of Fontana’s buchi. The gleaming, golden surround billows in organic shapes which resemble the gilded curlicues of the Baroque no less than Matisse’s vegetal paper ‘cut-outs’; these forms seem to swirl like clouds before a vast drama of open space.
As Fontana explained, ‘The Teatrini were a type of “realistic Spatialism”. Also a little bit in the fashion of these Pop Art things … but still in my way. They were forms that Man imagines in space’ (Fontana quoted in P. Gottschaller, Lucio Fontana: The Artist’s Materials, Los Angeles, 2012, p. 114). Partly responding to the bold, slick and stylised figuration that characterised Pop Art in the mid-1960s, the Teatrini saw Fontana introducing more concrete elements of design to his predominantly abstract aesthetic. In [Concetto spaziale, Teatrino], the arabesques that protrude from the frame conjure a wealth of imaginative associations: a nebulous form, like splashed liquid, vapour or a branching plant or coral, grows upwards from the base of the frame. Beyond Pop, the work’s debt to the dynamic sculptural motifs of the Baroque period is also clear. ‘[The] Baroque was a leap ahead’, Fontana had written in his 1946 Manifesto Blanco; ‘… it represented space with a magnificence that is still unsurpassed and added the notion of time to the plastic arts. The figures seemed to abandon the flat surface and continue the represented movements in space’ (Manifesto Blanco, Buenos Aires 1946, in E. Crispolti et al. (eds.), Lucio Fontana, Milan 1998, p. 115). Indeed, the Baroque, in its heightened artifice and extravagant motion, might be said to be the ultimate theatrical style. Delineated by its opulent frame, in [Concetto spaziale, Teatrino] space becomes the spectacle, and the viewer the audience; the central pool of darkness acts as a portal to another dimension, full of mystery and magic.