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Il genere degli Autoritratti fu quello che meglio diede all'artista la possibilità di esprimere il tormento interiore e al contempo di creare opere di straordinaria forza espressiva.
Il presente Autoritratto è caratterizzato da una vicenda che lo rende del tutto unico: pesantemente manipolato dall'amico fraterno di Ligabue, Andrea Mozzali, che aveva ricoperto il fondo con una scena raffigurante una corsia di ospedale, tanto che per lungo tempo l'opera fu conosciuta e catalogata come Autoritratto con corsia d'ospedale, grazie alle preziose indicazioni di Sergio Negri, la parte posticcia è stata rimossa ed il dipinto e tornato alla sua versione originaria.
Come molte di quelle coeve, l'opera è realizzata su tavole di faesite recuperate presso alcune botteghe di falegnami di Gualtieri; i colori sono intensi, espressionisti, a tratti violenti, i lineamenti appesantiti e volutamente esasperati. Al collo vediamo l'immancabile fazzoletto rosso, protagonista della maggior parte degli autoritratti di Ligabue, la stessa tonalità squillante è utilizzata per la firma, realizzata con la sola iniziale del nome ed il cognome "Ligabun", come spesso accade nelle opere eseguite tra la fine degli anni Quaranta e la metà degli anni Cinquanta, quasi tutte firmate, con caratteri gotici che ricordano le origini svizzere dell'artista (noto ai suoi concittadini come Al tedesch, il tedesco).
Immerse in un'atmosfera ordinaria e allo stesso tempo fantastica, intrise di suggestioni vangoghiane soprattutto negli autoritratti, le opere di Ligabue sono in realtà "vergini" e chi guarda agli occhi ritratti dell'artista, come ai suoi animali, solo in superficie può vedere riflessa la decoratività malinconica e pensosa del Doganiere Rousseau, perchè ad un esame più attento le opere di Ligabue si presentano come composizioni, che hanno una diretta, coerente derivazione interiore, che le rende intesamente originali e sofferte.
Il presente Autoritratto è caratterizzato da una vicenda che lo rende del tutto unico: pesantemente manipolato dall'amico fraterno di Ligabue, Andrea Mozzali, che aveva ricoperto il fondo con una scena raffigurante una corsia di ospedale, tanto che per lungo tempo l'opera fu conosciuta e catalogata come Autoritratto con corsia d'ospedale, grazie alle preziose indicazioni di Sergio Negri, la parte posticcia è stata rimossa ed il dipinto e tornato alla sua versione originaria.
Come molte di quelle coeve, l'opera è realizzata su tavole di faesite recuperate presso alcune botteghe di falegnami di Gualtieri; i colori sono intensi, espressionisti, a tratti violenti, i lineamenti appesantiti e volutamente esasperati. Al collo vediamo l'immancabile fazzoletto rosso, protagonista della maggior parte degli autoritratti di Ligabue, la stessa tonalità squillante è utilizzata per la firma, realizzata con la sola iniziale del nome ed il cognome "Ligabun", come spesso accade nelle opere eseguite tra la fine degli anni Quaranta e la metà degli anni Cinquanta, quasi tutte firmate, con caratteri gotici che ricordano le origini svizzere dell'artista (noto ai suoi concittadini come Al tedesch, il tedesco).
Immerse in un'atmosfera ordinaria e allo stesso tempo fantastica, intrise di suggestioni vangoghiane soprattutto negli autoritratti, le opere di Ligabue sono in realtà "vergini" e chi guarda agli occhi ritratti dell'artista, come ai suoi animali, solo in superficie può vedere riflessa la decoratività malinconica e pensosa del Doganiere Rousseau, perchè ad un esame più attento le opere di Ligabue si presentano come composizioni, che hanno una diretta, coerente derivazione interiore, che le rende intesamente originali e sofferte.