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Per Giuseppe Capogrossi l'astrazione non è un approdo casuale, ma la conclusione di un lungo percorso. La scoperta della pittura avviene già durante l'infanzia vedendo, secondo quello che riporta Giulio Carlo Argan, i segni dei bambini ospiti in un istituto per ciechi, che gli rivelano che l'arte può essere espressione dell'universo interiore senza dover necessariamente dipendere dalla realtà. Capogrossi viene però indirizzato per tradizione familiare agli studi di diritto. Una volta terminati, l'artista si dedica sempre più alla pittura entrando a far parte di quella Scuola Romana che, negli anni tra le guerre, rinnova la figurazione italiana. È solo in età avanzata -nel 1949 l'artista ha quasi 50 anni- che finalmente Capogrossi trova la via dell'astrazione, imboccata con la volontà di non tornare più indietro. La sua ricerca non ignora quindi la pittura figurativa ma, al contrario, la supera dialetticamente. Dopo aver dato prova di una grande raffinatezza nella figurazione e averne saggiato i limiti, decide di operare una semplificazione e una riduzione per arrivare direttamente al cuore della pittura, concentrandosi sui problemi che ne costituiscono l'essenza. L'uso di un elemento sempre ripetuto, la classica forchettina, elimina alla radice il problema del soggetto e gli impone di concentrarsi sulla composizione e sul colore. La prima mostra di opere dipinte con le caratteristiche 'forchettine', presentata da Corrado Cagli, si tiene nel 1950 alla Galleria del Secolo, ed è accolta da unanimi stroncature. Lentamente però Capogrossi conquista il sostegno della critica più avanzata. Si riconosce infatti che la sua pittura dimostra uno degli assunti centrali dell'arte astratta del dopoguerra: qualunque elemento, scelto arbitrariamente (la sua caratteristica 'forchettina', come anche il taglio di Fontana, le pieghe del caolino per Manzoni...) puo essere composto, variato, ripetuto, dinamizzato per ottenere dei risultati sempre nuovi e di valore estetico diverso.
Per comprendere il significato profondo dell'opera di Capgrossi, il paragone colla produzione linguistica è illuminante. Gli alfabeti sono migliaia e altri ancora se ne possono immaginare; a ognuno di essi corrisponde una o molte lingue, ciascuna con differenti possibilità e risultati. Una volta che l'alfabeto sia stabilito, i significati dipendono dall'organizzazione e dal rapporto delle parti tra loro. Il segno può quindi essere scelto arbitrariamente, ma non può invece essere arbitrario il modo in cui questo segno viene utilizzato: accostamenti, variazioni, rapporto col contesto. In una frase o in un testo non tutte le combinazioni sono ugualmente valide: alcune sono prive di senso, altre povere di contenuto, altre sintesi insuperabili di pensiero.
Anche nel caso dell'artista romano la struttura compositiva e i rapporti sono essenziali alla formazione del senso e quindi l'analisi formale diventa indispensabile per cogliere la fisionomia e la personalità di ognuno dei suoi dipinti.
L'opera che presentiamo è caratterizzata dalla potenza dell'elemento formale che occupa tutto il lato sinistro e parte del destro. Questa massiccia forma nera, generata dalla simbiosi di due delle caratteristiche forchette a quattro denti, si dispone liberamente contro le campiture geometriche di fondo. Queste costituiscono lo schema coloristico del dipinto che, come spesso in Capogrossi, si presenta ridotto alla purezza dei soli bianco, nero e rosso.
In quest'opera emerge come il lavoro di Capogrossi però non sia puramente grafico, ma profondamente pittorico. La superficie è mossa e granulosa. Il colore presenta degli ispessimenti e dei grumi, è messo in movimento da molte irregolarità che lo rendono vivo.
Altro elemento di vitalità è la fila di segni sulla sinistra, che sfuggono alla geometria delle campiture colorate maggiori e sono in una scala diversa rispetto alla figura centrale. Questa rappresenta una delle tipiche variazioni di Capogrossi che impediscono ai suoi dipinti di fissarsi in schemi rigidi e, rivelando la creatività dell'artista, li fanno risultare così attuali ancor'oggi.
Per comprendere il significato profondo dell'opera di Capgrossi, il paragone colla produzione linguistica è illuminante. Gli alfabeti sono migliaia e altri ancora se ne possono immaginare; a ognuno di essi corrisponde una o molte lingue, ciascuna con differenti possibilità e risultati. Una volta che l'alfabeto sia stabilito, i significati dipendono dall'organizzazione e dal rapporto delle parti tra loro. Il segno può quindi essere scelto arbitrariamente, ma non può invece essere arbitrario il modo in cui questo segno viene utilizzato: accostamenti, variazioni, rapporto col contesto. In una frase o in un testo non tutte le combinazioni sono ugualmente valide: alcune sono prive di senso, altre povere di contenuto, altre sintesi insuperabili di pensiero.
Anche nel caso dell'artista romano la struttura compositiva e i rapporti sono essenziali alla formazione del senso e quindi l'analisi formale diventa indispensabile per cogliere la fisionomia e la personalità di ognuno dei suoi dipinti.
L'opera che presentiamo è caratterizzata dalla potenza dell'elemento formale che occupa tutto il lato sinistro e parte del destro. Questa massiccia forma nera, generata dalla simbiosi di due delle caratteristiche forchette a quattro denti, si dispone liberamente contro le campiture geometriche di fondo. Queste costituiscono lo schema coloristico del dipinto che, come spesso in Capogrossi, si presenta ridotto alla purezza dei soli bianco, nero e rosso.
In quest'opera emerge come il lavoro di Capogrossi però non sia puramente grafico, ma profondamente pittorico. La superficie è mossa e granulosa. Il colore presenta degli ispessimenti e dei grumi, è messo in movimento da molte irregolarità che lo rendono vivo.
Altro elemento di vitalità è la fila di segni sulla sinistra, che sfuggono alla geometria delle campiture colorate maggiori e sono in una scala diversa rispetto alla figura centrale. Questa rappresenta una delle tipiche variazioni di Capogrossi che impediscono ai suoi dipinti di fissarsi in schemi rigidi e, rivelando la creatività dell'artista, li fanno risultare così attuali ancor'oggi.