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Una "cosa" non è arte; l'idea espressa della stessa "cosa" può esserlo. (Michelangelo Pistoletto, 1964)
Quest'opera appartiene alla rara serie di lavori eseguiti da Michelangelo Pistoletto nel corso degli anni Sessanta applicando sagome di velina dipinta su lastre di acciaio inox lucidato a specchio. L'effetto che l'artista ricerca è quello di una perfetta complanarità e compenetrazione tra immagine dipinta e immagine riflessa: la velina viene quindi scelta per evitare il rilievo che avrebbe avuto la carta fotografica; la superficie riflettente è una lastra d'acciaio e non uno specchio in quanto quest'ultimo, a causa del necessario spessore esistente tra vetro e argentatura, avrebbe riflesso il retro della velina. Dopo aver ingrandito le immagini fotografiche (spesso scattate dall'amico Paolo Bressano) l'artista ritagliava le sagome seguendo i contorni e dipingeva successivamente il retro (la parte che verrà incollata sull'acciaio) con olio e matite morbide. La velina verrà sostituita in anni successivi da un procedimento di riporto serigrafico.
Il problema della relazione tra arte e vita, centro della ricerca di molti artisti contemporanei viene risolto da Pistoletto non simbolicamente ma concretamente, unificando l'opera d'arte e lo svolgersi degli eventi reali, obbligandoli a condividere lo stesso spazio e lo stesso tempo. La pittura tradizionale rappresentava uno spazio immaginario, che lo spettatore era invitato ad esplorare, ma che restava a lui estraneo come una rappresentazione teatrale, sul cui svolgimento gli spettatori normalmente non hanno la possibilità di intervenire. Negli specchi di Pistoletto lo spettatore è invece inevitabilmente costretto a prendere parte alla scena, e questo scatena una serie di paradossi e ambiguità. Pur ritraendo -come è inevitabile in fotografia- situazioni e personaggi che sono contemporanei al momento dello scatto, l'immagine fissata sullo specchio è messa a confronto con una successione ininterrotta di momenti (il 'presente' per gli spettatori) con cui essa è costretta a dialogare.
In secondo luogo, il contributo dell'artista nello scegliere gli oggetti o i personaggi, nel disporli sulla scena, nello strutturare la composizione è determinante ma non esaurisce il processo artistico. La scena non è fissata una volta per tutte, ma registra ogni minimo mutamento dello spazio circostante: illuminazione, oggetti, presenze, assenze. La lastra specchiante, e quindi l'opera, si modifica in continuazione, individuando la presenza degli spettatori e incorporandoli assieme all'ambiente circostante. Il concetto di composizione immutabile perde di significato in opere che, al contrario di qualunque altro dipinto precedente non raggiungono mai uno stadio definitivo.
Al posto della aristotelica unità di tempo, luogo e azione si ha quindi una dualità molteplicità di luoghi, tempi, azioni. Ma -sempre in contrasto colla produzione tradizionale di immagini- nessuna di queste differenti combinazioni di passato e presente è destinata a lasciare tracce durevoli sulla superficie specchiante.
Per Pistoletto ogni processo fisico o intellettuale -e in particolare quello della visione, che coinvolge entrambi gli aspetti- implica un fluire di stimoli e informazioni tra diversi organi e parti del corpo. La parte che riceve le informazioni si trasforma così in specchio di quella che le trasmette, ricevendo uno stimolo e al contempo trasformandolo in qualcosa di diverso. Lo specchio simboleggia questo trasmettersi infinito di riflessi all'interno dell'organismo umano. Non è un caso che la stessa attività del pensare possa essere chiamata 'riflessione'. Con la riflessione infatti l'uomo prende possesso intellettuale del mondo circostante, trasportandolo all'interno della mente e trasformandolo col pensiero.
L'aspetto più interessante dell'opera di Pistoletto è però la trafornazione della ricchezza di significati simbolici e filosofici di cui lo specchio è da sempre portatore in un linguaggio visivo assolutamente moderno. L'uso di superfici metalliche industriali, della fotografia, il taglio quasi casuale della composizione, le situazioni e gli oggetti quotidiani rappresentati hanno contribuito infatti a far diventare queste opere dei veri e propri classici della cultura figurativa contemporanea.
Quest'opera appartiene alla rara serie di lavori eseguiti da Michelangelo Pistoletto nel corso degli anni Sessanta applicando sagome di velina dipinta su lastre di acciaio inox lucidato a specchio. L'effetto che l'artista ricerca è quello di una perfetta complanarità e compenetrazione tra immagine dipinta e immagine riflessa: la velina viene quindi scelta per evitare il rilievo che avrebbe avuto la carta fotografica; la superficie riflettente è una lastra d'acciaio e non uno specchio in quanto quest'ultimo, a causa del necessario spessore esistente tra vetro e argentatura, avrebbe riflesso il retro della velina. Dopo aver ingrandito le immagini fotografiche (spesso scattate dall'amico Paolo Bressano) l'artista ritagliava le sagome seguendo i contorni e dipingeva successivamente il retro (la parte che verrà incollata sull'acciaio) con olio e matite morbide. La velina verrà sostituita in anni successivi da un procedimento di riporto serigrafico.
Il problema della relazione tra arte e vita, centro della ricerca di molti artisti contemporanei viene risolto da Pistoletto non simbolicamente ma concretamente, unificando l'opera d'arte e lo svolgersi degli eventi reali, obbligandoli a condividere lo stesso spazio e lo stesso tempo. La pittura tradizionale rappresentava uno spazio immaginario, che lo spettatore era invitato ad esplorare, ma che restava a lui estraneo come una rappresentazione teatrale, sul cui svolgimento gli spettatori normalmente non hanno la possibilità di intervenire. Negli specchi di Pistoletto lo spettatore è invece inevitabilmente costretto a prendere parte alla scena, e questo scatena una serie di paradossi e ambiguità. Pur ritraendo -come è inevitabile in fotografia- situazioni e personaggi che sono contemporanei al momento dello scatto, l'immagine fissata sullo specchio è messa a confronto con una successione ininterrotta di momenti (il 'presente' per gli spettatori) con cui essa è costretta a dialogare.
In secondo luogo, il contributo dell'artista nello scegliere gli oggetti o i personaggi, nel disporli sulla scena, nello strutturare la composizione è determinante ma non esaurisce il processo artistico. La scena non è fissata una volta per tutte, ma registra ogni minimo mutamento dello spazio circostante: illuminazione, oggetti, presenze, assenze. La lastra specchiante, e quindi l'opera, si modifica in continuazione, individuando la presenza degli spettatori e incorporandoli assieme all'ambiente circostante. Il concetto di composizione immutabile perde di significato in opere che, al contrario di qualunque altro dipinto precedente non raggiungono mai uno stadio definitivo.
Al posto della aristotelica unità di tempo, luogo e azione si ha quindi una dualità molteplicità di luoghi, tempi, azioni. Ma -sempre in contrasto colla produzione tradizionale di immagini- nessuna di queste differenti combinazioni di passato e presente è destinata a lasciare tracce durevoli sulla superficie specchiante.
Per Pistoletto ogni processo fisico o intellettuale -e in particolare quello della visione, che coinvolge entrambi gli aspetti- implica un fluire di stimoli e informazioni tra diversi organi e parti del corpo. La parte che riceve le informazioni si trasforma così in specchio di quella che le trasmette, ricevendo uno stimolo e al contempo trasformandolo in qualcosa di diverso. Lo specchio simboleggia questo trasmettersi infinito di riflessi all'interno dell'organismo umano. Non è un caso che la stessa attività del pensare possa essere chiamata 'riflessione'. Con la riflessione infatti l'uomo prende possesso intellettuale del mondo circostante, trasportandolo all'interno della mente e trasformandolo col pensiero.
L'aspetto più interessante dell'opera di Pistoletto è però la trafornazione della ricchezza di significati simbolici e filosofici di cui lo specchio è da sempre portatore in un linguaggio visivo assolutamente moderno. L'uso di superfici metalliche industriali, della fotografia, il taglio quasi casuale della composizione, le situazioni e gli oggetti quotidiani rappresentati hanno contribuito infatti a far diventare queste opere dei veri e propri classici della cultura figurativa contemporanea.