拍品专文
Proveniente da una collezione privata italiana dove per decenni è stata conservata, appare per la prima volta sul mercato la presente opera, datata 1919, di Fortunato Depero.
Si tratta di un'opera rarissima per datazione ed impianto formale, che nella tavolozza cromatica risente della vitalizzante esperienza di Depero a Capri e dell'influenza esercitata dalla lezione di Picasso a Roma negli stessi anni.
"Questa del Depero si potrebbe anche chiamare arte di visione medianica. Se noi, come intenti, quasi magnetizzati davanti alla lastra lucida di uno specchio, ci ponessimo a contempolare le più complesse composizioni del Depero, ci sentiremmo veramente oppressi dal senso di caldura e di luce abbagliante che invade la tela, ci incanteremmo davanti alle casine parallelepipede, ai portici, alle figure intarsiate in un cielo di zaffiro, o di cobalto. Alla nostra memoria tornerebbero pesantemente le scene di certi monumenti egizi, terribili e spettrali appunto nelle loro legnosa e scheletrica semplicità e nel loro ineffabile ritmo.
Depero si è detto partì dal futurismo, ma esso in realtà non à [sic] intaccato per niente quello che in lui c'è di prettamente personale. Egli è un sensuale e un romantico infine. Pieni di biblico e quasi serafico spirito i suoi personaggi campestri con figure di donne che fanno pensare alle statuette degli antichi Babilonesi e Caldei, e altre invece buffe o ripiene di una tragicità moderna.
In altri paesaggi brulli, certi animali nervosi si affacciano cauti a precipizi, fra le solide costruzioni immateriali delle ombre. Ecco una definizione se volete: "Depero, il potente, irrelte, paradossale, fantastico (a Marinetti che piacciono le filze di aggettivi) tremendo, patetico, magico, cartellonista della realtà".
Se un giorno sotto il bel cielo di Roma in una vertigine metafisica vedrete una strada o una bella piazza silenziosa, meccanizzarsi dalle luci e dalle ombre e sul vostro cuore pesante tornerà l'amarezza contemplativa del filosofo che è "al di là del bene e del male", meglio imparerete ad amare l'arte di Depero, intanto accettatela così com'è nella sua orgiastica decoratività."
(F. de Pisis, Conferenza tenuta alla Galleria Bragaglia, Roma 1922; da Prose e articoli, Milano 1947, cit. in M. F. Dell'Arco, G. Belli, N. Boschiero, Depero, Milano 1988, p. 120)
Si tratta di un'opera rarissima per datazione ed impianto formale, che nella tavolozza cromatica risente della vitalizzante esperienza di Depero a Capri e dell'influenza esercitata dalla lezione di Picasso a Roma negli stessi anni.
"Questa del Depero si potrebbe anche chiamare arte di visione medianica. Se noi, come intenti, quasi magnetizzati davanti alla lastra lucida di uno specchio, ci ponessimo a contempolare le più complesse composizioni del Depero, ci sentiremmo veramente oppressi dal senso di caldura e di luce abbagliante che invade la tela, ci incanteremmo davanti alle casine parallelepipede, ai portici, alle figure intarsiate in un cielo di zaffiro, o di cobalto. Alla nostra memoria tornerebbero pesantemente le scene di certi monumenti egizi, terribili e spettrali appunto nelle loro legnosa e scheletrica semplicità e nel loro ineffabile ritmo.
Depero si è detto partì dal futurismo, ma esso in realtà non à [sic] intaccato per niente quello che in lui c'è di prettamente personale. Egli è un sensuale e un romantico infine. Pieni di biblico e quasi serafico spirito i suoi personaggi campestri con figure di donne che fanno pensare alle statuette degli antichi Babilonesi e Caldei, e altre invece buffe o ripiene di una tragicità moderna.
In altri paesaggi brulli, certi animali nervosi si affacciano cauti a precipizi, fra le solide costruzioni immateriali delle ombre. Ecco una definizione se volete: "Depero, il potente, irrelte, paradossale, fantastico (a Marinetti che piacciono le filze di aggettivi) tremendo, patetico, magico, cartellonista della realtà".
Se un giorno sotto il bel cielo di Roma in una vertigine metafisica vedrete una strada o una bella piazza silenziosa, meccanizzarsi dalle luci e dalle ombre e sul vostro cuore pesante tornerà l'amarezza contemplativa del filosofo che è "al di là del bene e del male", meglio imparerete ad amare l'arte di Depero, intanto accettatela così com'è nella sua orgiastica decoratività."
(F. de Pisis, Conferenza tenuta alla Galleria Bragaglia, Roma 1922; da Prose e articoli, Milano 1947, cit. in M. F. Dell'Arco, G. Belli, N. Boschiero, Depero, Milano 1988, p. 120)