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Vedova è un action painter, il fratello veneziano di Pollock e Kline, ma con una sua coscienza dolorante tutta europea, di cui è struttura la storia, e con una tesa volontà morale di opporre il furore creativo dell'arte al furore distruttivo di una storia precipite, che non è più catarsi ma terrore. All'origine è ancora la concezione tintorettesca della storia come buia tragedia riscattata d'un tratto dalla luce del miracolo: senonché l'esperienza vissuta degli ultimi decenni che altro può dimostrare se non che la storia è stata tradita e sconfessata, e del mondo un tempo ordinato non rimane altro che un mare di frammenti e di schegge di cui soltanto l'arte, illogica per natura e vocazione, riesce a dare un'immagine significante? (G.C. Argan, Vedova: Compresenze 1946-1981, Milano 1981, p. 11)
Il Gran Premio per la Pittura, massimo riconoscimento tra quelli offerti dalla Biennale di Venezia, viene assegnato a Emilio Vedova proprio nel 1960, appena prima dell'esecuzione di questo dipinto.
L'avvenimento riveste particolare significato anche per il fatto che la giuria di quell'edizione, anziché essere composta come al solito da commissari dei vari padiglioni, era formata da sette studiosi e critici di livello internazionale. Tra questi, ad alcuni italiani da tempo vicini al lavoro di Vedova (Giuseppe Marchiori aveva scritto la presentazione del Gruppo degli Otto per la Biennale del 1948 e Giulio Carlo Argan l'introduzione all'opera dell'artista per la XXCIII Biennale del 1956) si affiancano personalità internazionali come Werner Haftmann e Herbert Read.
"La pittura di Vedova si nutre del confronto e del dialogo tra posizioni (artistiche, umane, politiche, morali) contrastanti, che non possono ignorare la loro opposizione e neppure annullarsi a vicenda.
Vedova - scrive - è sempre immerso in un dialogo intenso.
Amche la sua pittura è dialogo. E' una continua disputa provocatoria con la contraddizione in lui stesso nascosta e che preme per emergere e manifestarsi. la sua pittura è appassionata lotta contro l'avversario dietro la tela che nel più accanito contrasto del sì e no, del bene e del male, del bianco e del nero, dovrà essere costretto a pronunciarsi. La tela, come una membrana nel mezzo della disputa, registra il corso della contesa.
Tutta quest'azione pittorica tende costantemente alla comunicazione: discussione, protesta, ma anche diario, documento, lettera aperta" (W. Haftmann, Su Emilio Vedova", 1960, cit. in cat. mostra Vedova 1935-1984, Venezia 1984, p. 90)
Il Gran Premio per la Pittura, massimo riconoscimento tra quelli offerti dalla Biennale di Venezia, viene assegnato a Emilio Vedova proprio nel 1960, appena prima dell'esecuzione di questo dipinto.
L'avvenimento riveste particolare significato anche per il fatto che la giuria di quell'edizione, anziché essere composta come al solito da commissari dei vari padiglioni, era formata da sette studiosi e critici di livello internazionale. Tra questi, ad alcuni italiani da tempo vicini al lavoro di Vedova (Giuseppe Marchiori aveva scritto la presentazione del Gruppo degli Otto per la Biennale del 1948 e Giulio Carlo Argan l'introduzione all'opera dell'artista per la XXCIII Biennale del 1956) si affiancano personalità internazionali come Werner Haftmann e Herbert Read.
"La pittura di Vedova si nutre del confronto e del dialogo tra posizioni (artistiche, umane, politiche, morali) contrastanti, che non possono ignorare la loro opposizione e neppure annullarsi a vicenda.
Vedova - scrive - è sempre immerso in un dialogo intenso.
Amche la sua pittura è dialogo. E' una continua disputa provocatoria con la contraddizione in lui stesso nascosta e che preme per emergere e manifestarsi. la sua pittura è appassionata lotta contro l'avversario dietro la tela che nel più accanito contrasto del sì e no, del bene e del male, del bianco e del nero, dovrà essere costretto a pronunciarsi. La tela, come una membrana nel mezzo della disputa, registra il corso della contesa.
Tutta quest'azione pittorica tende costantemente alla comunicazione: discussione, protesta, ma anche diario, documento, lettera aperta" (W. Haftmann, Su Emilio Vedova", 1960, cit. in cat. mostra Vedova 1935-1984, Venezia 1984, p. 90)