Lot Essay
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Quasi a conclusione e memoria del suo "realismo sociale", ma con un'insinuazione di denominatore esistenziale già fortemente avvertibile, è forse il dipinto di "figura" più significativo realizzato da Guttuso nel 1956.
Un'immagine di tematica "sociale", proletaria certamente ma in cui la fisicità d'impatto prevale, rendendo sommaria ogni descrizione a favore invece d'un rapporto fisico, di materia, con corpi, abiti, cose, e dunque rovesciando su un denominatore esistenziale quello che avrebbe potuto altrimenti esservi puramente dichiarazione ideologica.
Guttuso lo espone nel 1956 stesso in quella personale milanese alla Galleria La Colonna, in marzo, che diede concreti segnali del nuovo lavoro in corso, al di là di quanto potesse dire poi, nell'estate, nella Biennale a Venezia, il grande dipinto La spiaggia, peraltro di poco precedente, elaborato tra il 1955 e il 1956.
Il lavoro svolto in tale anno costituisce infatti un momento importante nel processo di rinnovamento nella ricerca di Guttuso, nel senso dell'esperienza di una liberazione degli strumenti del proprio figurare da qualsiasi schema e predisposizione rappresentativa, per una sorta invece di pura adesione all'occasione del rapporto reale, in termini di preminente accentuazione sensibile. Liberazione che avviene attraverso nuovi termini di riferimento individuabili sostanzialmente in una riapertura verso il fauvismo, funzionale ad una nuova libertà cromatica praticata; in un utilizzo congiunto di suggestioni materiche courbetiane, ma corrisposte secondo una sorta di analismo costruttivo della forma come volumetria cromatica, che veniva a Guttuso da una rimeditazione cézanniana e del primo cubismo; e tuttavia anche un'attenzione a suggestioni di abbreviazione della scrittura pittorica, e al tempo stesso ugualmente di espressività della materia cromatica, che provenivano a loro volta indubbiamente da un'accorta attenzione guttusiana alle novità informali, nella chiave soprattutto "ultimonaturalistica" italiana (sostenuta criticamente da Francesco Arcangeli). [...]
L'intensità di presenza di questa figura sta tutta nell'invenzione del taglio trasverso del margine della porzione di tavolo, giallo, ben visibile, rispetto allo scuro profondo, bruno notturno, matericamente sensibile, del fondo ambientale omogeneo e dal quale scatta il risalto dell'avvampata figura del proletario che avidamente mangia il suo piatto di spaghetti [...]
Quell'avvampare di rossi, sulla giacca, sul volto appena inframmezzato da riflessi di giallo sulla giacca stessa, è un colore di passione, di collera, di vitalità. Un colore simbolico risolto in maneira pittorica di corposa stesura, a pennello e spatola, sensuosa, per accentuare un'implicazione di fisicità, di contatto con la realtà prima delle cose e dei corpi che sono ora per Guttuso materia, prima che figura. Ed è appunto in questi termini che il "realismo" guttusiano da "sociale" comincia a trasformarsi in "esistenziale".
(E. Crispolti, Renato Guttuso. Opere della Fondazione Francesco Pellin, Roma 2005, cat. mostra a Roma, Chiostro del Bramante, p. 88-89, n. 17)
"Mi ricordo l'ora di colazione. Mio padre entrava nella sala da pranzo, cacciava via le mosche, accostava gli scuri, poi clava una pagliarella per non far entrare gli insetti. E finalmente ci sedevamo a tavola. Subito dopo arrivava quella cosa deliziosa che è la pasta con il pomodoro e il basilico. Certe volte tornavo dal mare sudato, dopo aver fatto due chilometri a piedi e sedermi a mangiare quella pasta era per me la più grande gioia."
(Dacia Maraini, E tu chi eri? Interviste sull'infanzia, 1973)
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Quasi a conclusione e memoria del suo "realismo sociale", ma con un'insinuazione di denominatore esistenziale già fortemente avvertibile, è forse il dipinto di "figura" più significativo realizzato da Guttuso nel 1956.
Un'immagine di tematica "sociale", proletaria certamente ma in cui la fisicità d'impatto prevale, rendendo sommaria ogni descrizione a favore invece d'un rapporto fisico, di materia, con corpi, abiti, cose, e dunque rovesciando su un denominatore esistenziale quello che avrebbe potuto altrimenti esservi puramente dichiarazione ideologica.
Guttuso lo espone nel 1956 stesso in quella personale milanese alla Galleria La Colonna, in marzo, che diede concreti segnali del nuovo lavoro in corso, al di là di quanto potesse dire poi, nell'estate, nella Biennale a Venezia, il grande dipinto La spiaggia, peraltro di poco precedente, elaborato tra il 1955 e il 1956.
Il lavoro svolto in tale anno costituisce infatti un momento importante nel processo di rinnovamento nella ricerca di Guttuso, nel senso dell'esperienza di una liberazione degli strumenti del proprio figurare da qualsiasi schema e predisposizione rappresentativa, per una sorta invece di pura adesione all'occasione del rapporto reale, in termini di preminente accentuazione sensibile. Liberazione che avviene attraverso nuovi termini di riferimento individuabili sostanzialmente in una riapertura verso il fauvismo, funzionale ad una nuova libertà cromatica praticata; in un utilizzo congiunto di suggestioni materiche courbetiane, ma corrisposte secondo una sorta di analismo costruttivo della forma come volumetria cromatica, che veniva a Guttuso da una rimeditazione cézanniana e del primo cubismo; e tuttavia anche un'attenzione a suggestioni di abbreviazione della scrittura pittorica, e al tempo stesso ugualmente di espressività della materia cromatica, che provenivano a loro volta indubbiamente da un'accorta attenzione guttusiana alle novità informali, nella chiave soprattutto "ultimonaturalistica" italiana (sostenuta criticamente da Francesco Arcangeli). [...]
L'intensità di presenza di questa figura sta tutta nell'invenzione del taglio trasverso del margine della porzione di tavolo, giallo, ben visibile, rispetto allo scuro profondo, bruno notturno, matericamente sensibile, del fondo ambientale omogeneo e dal quale scatta il risalto dell'avvampata figura del proletario che avidamente mangia il suo piatto di spaghetti [...]
Quell'avvampare di rossi, sulla giacca, sul volto appena inframmezzato da riflessi di giallo sulla giacca stessa, è un colore di passione, di collera, di vitalità. Un colore simbolico risolto in maneira pittorica di corposa stesura, a pennello e spatola, sensuosa, per accentuare un'implicazione di fisicità, di contatto con la realtà prima delle cose e dei corpi che sono ora per Guttuso materia, prima che figura. Ed è appunto in questi termini che il "realismo" guttusiano da "sociale" comincia a trasformarsi in "esistenziale".
(E. Crispolti, Renato Guttuso. Opere della Fondazione Francesco Pellin, Roma 2005, cat. mostra a Roma, Chiostro del Bramante, p. 88-89, n. 17)
"Mi ricordo l'ora di colazione. Mio padre entrava nella sala da pranzo, cacciava via le mosche, accostava gli scuri, poi clava una pagliarella per non far entrare gli insetti. E finalmente ci sedevamo a tavola. Subito dopo arrivava quella cosa deliziosa che è la pasta con il pomodoro e il basilico. Certe volte tornavo dal mare sudato, dopo aver fatto due chilometri a piedi e sedermi a mangiare quella pasta era per me la più grande gioia."
(Dacia Maraini, E tu chi eri? Interviste sull'infanzia, 1973)