拍品专文
I tempi stringono, le morali invecchiano, e ogni uomo, più che mai, è chiamato ad affrontare le proprie responsabilità. Domani i nostri quadri non ci saranno più, ma l'azione promossa dai nostri quadri avrà significato qualcosa; avrà insomma parlato di uomini nuovi che, in un elemento costante, avevano voluto superare se stessi, tenendo fede a quella urgente realtà che, dentro di loro, domandava testimonianza. [...] Oggi dobbiamo fare non pittura "alla maniera di", ma pittura che parli dei nostri giorni, della nostra violenza, della nostra pena di vivere: di questi elementi forti e aggressivi. [...] Soltanto quando gli uomini si ritroveranno in una certezza comune, potrà nascere una pittura cosiddetta sociale. Essere sociale oggi significa essere nella rivoluzione.
(E. Vedova, Dipingere un naso non è così semplice, cit. in Emilio Vedova, Milano 2006, p. 118 -119)
Vedova realizza questo potente dipinto nel 1960, anno fondamentale per la sua carriera artistica: è il momento della consacrazione alla XXX Biennale d'Arte, dove un'antologia di alcuni fra i migliori critici dell'epoca sceglie di conferire al pittore il Gran Premio per la Pittura a Venezia, la sua città natale.
Un intricato susseguirsi di neri e bianchi, cadenzati dai colori, spesso violenti e dissonanti - qui il giallo, altrove il viola, il rosso - assume la stessa imprecisione e imprevedibilità di una melodia jazz (sono gli stessi anni in cui Vedova si avvicina al teatro musicale, collaborando con il concittadino Luigi Nono, e curando un allestimento scenico innovativo e frenetico, fatto di proiettori e lastre dipinte). Lo spettatore è disorientato, incapace di trovare un senso formale alla composizione, che però rimane sempre paradossalmente equilibrata e perfetta. E, in mezzo alla pittura, i fogli di giornale, l'informazione: quasi come per avvicinare l'universo pittorico al quotidiano.
Vedova, attraverso le sue opere, ci dice sempre qualcosa: la sua pittura è un dialogo incessante ed accorato, condito da una speranza che l'arte, davvero, possa cambiare le cose, possa squarciare il velo delle ipocrisie sociali e storiche. Non è mai un colloquio silenzioso ed equilibrato, il suo, piuttosto un grido, una forza che esplode sulla tela, guidata dalla consapevolezza che la pittura va Oltre, come appunto intitolerà una serie di dipinti.
Per Vedova è fuori discussione occuparsi di storia dell'arte, quello che lo interessa è la storia nell'arte; i due universi si fondono insieme in un groviglio intricato come quelli delle sue tele.
(E. Vedova, Dipingere un naso non è così semplice, cit. in Emilio Vedova, Milano 2006, p. 118 -119)
Vedova realizza questo potente dipinto nel 1960, anno fondamentale per la sua carriera artistica: è il momento della consacrazione alla XXX Biennale d'Arte, dove un'antologia di alcuni fra i migliori critici dell'epoca sceglie di conferire al pittore il Gran Premio per la Pittura a Venezia, la sua città natale.
Un intricato susseguirsi di neri e bianchi, cadenzati dai colori, spesso violenti e dissonanti - qui il giallo, altrove il viola, il rosso - assume la stessa imprecisione e imprevedibilità di una melodia jazz (sono gli stessi anni in cui Vedova si avvicina al teatro musicale, collaborando con il concittadino Luigi Nono, e curando un allestimento scenico innovativo e frenetico, fatto di proiettori e lastre dipinte). Lo spettatore è disorientato, incapace di trovare un senso formale alla composizione, che però rimane sempre paradossalmente equilibrata e perfetta. E, in mezzo alla pittura, i fogli di giornale, l'informazione: quasi come per avvicinare l'universo pittorico al quotidiano.
Vedova, attraverso le sue opere, ci dice sempre qualcosa: la sua pittura è un dialogo incessante ed accorato, condito da una speranza che l'arte, davvero, possa cambiare le cose, possa squarciare il velo delle ipocrisie sociali e storiche. Non è mai un colloquio silenzioso ed equilibrato, il suo, piuttosto un grido, una forza che esplode sulla tela, guidata dalla consapevolezza che la pittura va Oltre, come appunto intitolerà una serie di dipinti.
Per Vedova è fuori discussione occuparsi di storia dell'arte, quello che lo interessa è la storia nell'arte; i due universi si fondono insieme in un groviglio intricato come quelli delle sue tele.