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"Normalmente Burri vien fatto rientrare nella poetica dell'informale, di quell'arte che rivendica al gesto creativo dell'artista una valenza liberatoria.
Con questo termine e con l'altro, 'Origine', che denomina il gruppo omonimo (Burri, Capogrossi, Colla e Ballocco), la critica degli anni Cinquanta ha inteso sottolineare l'urgenza esistenziale di questi artisti, che hanno identificato il gesto rituale della pittura con una presa di possesso della realtà, come il passaggio dalla parzialità del quotidiano alla totalità assoluta della creazione artistica.
Burri, in special modo, ha cominciato la propria pittura quasi costretto dalla propria biografia: la prigione del Texas durante la Seconda Guerra Mondiale e il successivo ritorno in una Italia piena di lacerazioni e frustrata dalla sconfitta.
Alla soggezione e alla frustrazione di un quotidiano prosaico e banale, Burri risponde immergendosi eroicamente nella materia dei propri quadri, mettendo nero su nero, cercando nel processo creativo il valore di un'autenticità che la vita normale non riesce a dare. Perché non è possibile retrocedere all'origine, alla primigenie mitica della materia, in quanto esiste il peccato della pittura, della storia del linguaggio e della storia in generale, la materia quando attraversa la soglia del linguaggio si rapprende, si raffredda nello spazio congelato del quadro.
Allora Burri approfondisce la propria strategia, il proprio scontro epico con il mondo, cercando di accorciare la distanza che separa la realtà della materia dalla necessità della forma.
(...) L'opera di Burri realizza il paradosso di una classicità che passa attraverso una sperimentazione incessante di materiali. Questo sembra essere lo statuto dell'avanguardia, legato al concetto della ricerca. Ma la ricerca non è, in questo caso, puro edonismo, piacere della manipolazione fine a se stessa, bensì tensione verso la calibrata possibilità dell'equilibrio formale.
Non l'asimmetria ma il simmetrico abita il quadro di Burri, l'equilibrio antico che porta l'occhio a montare la materia secondo rapporti fermi e mai pericolanti. L'artista riesce a portare anche il caso, l'effetto di una bruciatura o la consistenza di un materiale trovato, dentro il conforto della necessità formale.
Ma la forma non nasce da un'idea precostituita, non risiede in un luogo antecedente alla pratica artistica e né in un tempo anteriore. Essa nasce e scaturisce dalla perizia attiva dell'artista, dal processo creativo che non si organizza mai secondo un progetto, ma segue la flagranza del gesto e della trasformazione della materia.
In Burri l'opera ha una fondazione legata all'attività dell'intervento, all'istantaneità del lavoro artistico. Anche la combustione, i processi attinenti all'impiego del fuoco, trovano nell'opera il luogo della loro effettualità. Eppure l'artista non si lascia sedurre dalla materia allo stato puro, non resta passivo davanti all'erompere del caso, ma lo ingloba come valore attraverso un continuo controllo e una vigilanza accorta del farsi opera.
Un'idea materialistica dell'arte presiede all'opera di Burri, una laboriosità non disgiunta da un arrovellamento che compenetra la sperimentazione. La curiosità di nuovi materiali non dimentica di ritrovare dentro di essi la loro attitudine di disvelarsi come forma. Tecniche e materiali sono al servizio di un risultato che non altera la natura interna che li presiede".
(A. Bonito Oliva, La misura aurea della materia, in Alberto Burri 1948-1993, cat. mostra a Milano, Zonca & Zonca Arte Moderna e Contemporanea, 1998, p. 11 e 13).
Con questo termine e con l'altro, 'Origine', che denomina il gruppo omonimo (Burri, Capogrossi, Colla e Ballocco), la critica degli anni Cinquanta ha inteso sottolineare l'urgenza esistenziale di questi artisti, che hanno identificato il gesto rituale della pittura con una presa di possesso della realtà, come il passaggio dalla parzialità del quotidiano alla totalità assoluta della creazione artistica.
Burri, in special modo, ha cominciato la propria pittura quasi costretto dalla propria biografia: la prigione del Texas durante la Seconda Guerra Mondiale e il successivo ritorno in una Italia piena di lacerazioni e frustrata dalla sconfitta.
Alla soggezione e alla frustrazione di un quotidiano prosaico e banale, Burri risponde immergendosi eroicamente nella materia dei propri quadri, mettendo nero su nero, cercando nel processo creativo il valore di un'autenticità che la vita normale non riesce a dare. Perché non è possibile retrocedere all'origine, alla primigenie mitica della materia, in quanto esiste il peccato della pittura, della storia del linguaggio e della storia in generale, la materia quando attraversa la soglia del linguaggio si rapprende, si raffredda nello spazio congelato del quadro.
Allora Burri approfondisce la propria strategia, il proprio scontro epico con il mondo, cercando di accorciare la distanza che separa la realtà della materia dalla necessità della forma.
(...) L'opera di Burri realizza il paradosso di una classicità che passa attraverso una sperimentazione incessante di materiali. Questo sembra essere lo statuto dell'avanguardia, legato al concetto della ricerca. Ma la ricerca non è, in questo caso, puro edonismo, piacere della manipolazione fine a se stessa, bensì tensione verso la calibrata possibilità dell'equilibrio formale.
Non l'asimmetria ma il simmetrico abita il quadro di Burri, l'equilibrio antico che porta l'occhio a montare la materia secondo rapporti fermi e mai pericolanti. L'artista riesce a portare anche il caso, l'effetto di una bruciatura o la consistenza di un materiale trovato, dentro il conforto della necessità formale.
Ma la forma non nasce da un'idea precostituita, non risiede in un luogo antecedente alla pratica artistica e né in un tempo anteriore. Essa nasce e scaturisce dalla perizia attiva dell'artista, dal processo creativo che non si organizza mai secondo un progetto, ma segue la flagranza del gesto e della trasformazione della materia.
In Burri l'opera ha una fondazione legata all'attività dell'intervento, all'istantaneità del lavoro artistico. Anche la combustione, i processi attinenti all'impiego del fuoco, trovano nell'opera il luogo della loro effettualità. Eppure l'artista non si lascia sedurre dalla materia allo stato puro, non resta passivo davanti all'erompere del caso, ma lo ingloba come valore attraverso un continuo controllo e una vigilanza accorta del farsi opera.
Un'idea materialistica dell'arte presiede all'opera di Burri, una laboriosità non disgiunta da un arrovellamento che compenetra la sperimentazione. La curiosità di nuovi materiali non dimentica di ritrovare dentro di essi la loro attitudine di disvelarsi come forma. Tecniche e materiali sono al servizio di un risultato che non altera la natura interna che li presiede".
(A. Bonito Oliva, La misura aurea della materia, in Alberto Burri 1948-1993, cat. mostra a Milano, Zonca & Zonca Arte Moderna e Contemporanea, 1998, p. 11 e 13).