拍品专文
Dipinto nel 1951, Muffa documenta i primi gesti rivoluzionari che l'artista rivolse verso la pittura. Ruvido, incrostato e screpolato, Muffa sembra esser frutto della mineralizzazione di un dipinto: gli strati di pittura appaiono fossilizzati in una serie di tracce e rilievi sedimentati dal tempo. La trama della tela ed il segno del pennello sono assenti e la superficie appare tanto impenetrabile quanto quella di una roccia. Sebbene gli strati di diverso colore sembrino tracciare sulla superficie forme e linee astratte, è la dimensione materica del quadro a dominare l'immagine, trasformando il dipinto in un fenomeno fisico. In Muffa, Burri introduce infatti un elemento minerale: assieme ai colori ad olio, l'artista mescola la pietra pomice, distruggendo la fluidità dei colori e alternandone le proprietà fisiche. Ne nasce un'arte astratta, per mancanza di figurazione, tuttavia oggettiva nel suo interesse per la materia.
Nel 1951 - l'anno in cui Muffa fu eseguito - Alberto Burri firmò, insieme agli artisti Mario Ballocco, Giuseppe Capogrossi e Ettore Colla, il Manifesto del Gruppo Origine. Quello stesso anno, il gruppo espose collettivamente alla Fondazione Origine, anch'essa fondata dai quattro artisti. Nel panorama dell'arte del Dopoguerra, il Gruppo Origine si proponeva come una nuova manifestazione d'arte astratta, reclamando un nuovo punto d' "origine" per l'arte non-figurativa. I quattro artisti scrivevano nel Manifesto:
"Di fronte al percorso storico dell' "astrattismo", avvertito ormai come problema artistico risolto e concluso, sia nel suo atteggiamento di reazione nei confronti di qualunque figuratività contenutistica, sia come sviluppo secondo una direzione, nel complesso, sempre più orientata verso la compiacenza decorativa e, insomma, in senso manieristico, il Gruppo Origine intende rifarsi e riproporsi il punto di partenza moralmente più valido delle esigenze "non-Figurative" dell'espressione" (Manifesto del Gruppo Origine, in Burri 1915-1995 Retrospektive, cat. mostra, Monaco, 1997, p. 254-255).
Per Burri, questo nuovo "punto di partenza" per l'arte astratta era rappresentato dalla materia, che diventa protagonista della sua arte. Le Muffe degli anni '50 rappresentano non solo i primi, ma anche i più "pittorici" esempi dell'opera burriana: in Muffa, a differenza di opere successive, la pittura ad olio domina ancora, anche se contaminata, modificata e irrigidita dalla pietra pomice. Negli anni che seguirono, Burri introdusse nei suoi quadri i sacchi in iuta, la plastica bruciata e il ferro battuto, continuando il suo cammino verso la materia e aprendo la via a nuove forme d'arte, come l'Arte Povera. Opere come Muffa, tuttavia, appaiono in retrospettiva come alcune delle più sottili sovversioni della pittura operate dell'artista: quasi in maniera impercettibile, la materia è introdotta a tradimento nella pittura, trasformando il quadro in un fenomeno modellato da eventi e trasformazioni fisiche. L'anno in cui Burri dipinse Muffa, il grande storico d'arte Giulio Carlo Argan scrisse delle sue opere, soffermandosi appunto su questo aspetto e sottolineando il nuovo ruolo dell'artista che ne scaturiva: "L'immagine, come prodotto diretto della coscienza, non è più "finzione" di cosa, ma cosa stessa (...) puro fenomeno; nata al di fuori di ogni emozione o memoria o analogia naturalistica, non è più il documento di un oggettivarsi e separarsi dell'artista, ma del suo immergersi e confondersi nel reale" ( G. C. Argan nel 1951, in Burri 1915-1995 Retrospektive, cat. mostra, Monaco, 1997, p. 255).
Nel 1951 - l'anno in cui Muffa fu eseguito - Alberto Burri firmò, insieme agli artisti Mario Ballocco, Giuseppe Capogrossi e Ettore Colla, il Manifesto del Gruppo Origine. Quello stesso anno, il gruppo espose collettivamente alla Fondazione Origine, anch'essa fondata dai quattro artisti. Nel panorama dell'arte del Dopoguerra, il Gruppo Origine si proponeva come una nuova manifestazione d'arte astratta, reclamando un nuovo punto d' "origine" per l'arte non-figurativa. I quattro artisti scrivevano nel Manifesto:
"Di fronte al percorso storico dell' "astrattismo", avvertito ormai come problema artistico risolto e concluso, sia nel suo atteggiamento di reazione nei confronti di qualunque figuratività contenutistica, sia come sviluppo secondo una direzione, nel complesso, sempre più orientata verso la compiacenza decorativa e, insomma, in senso manieristico, il Gruppo Origine intende rifarsi e riproporsi il punto di partenza moralmente più valido delle esigenze "non-Figurative" dell'espressione" (Manifesto del Gruppo Origine, in Burri 1915-1995 Retrospektive, cat. mostra, Monaco, 1997, p. 254-255).
Per Burri, questo nuovo "punto di partenza" per l'arte astratta era rappresentato dalla materia, che diventa protagonista della sua arte. Le Muffe degli anni '50 rappresentano non solo i primi, ma anche i più "pittorici" esempi dell'opera burriana: in Muffa, a differenza di opere successive, la pittura ad olio domina ancora, anche se contaminata, modificata e irrigidita dalla pietra pomice. Negli anni che seguirono, Burri introdusse nei suoi quadri i sacchi in iuta, la plastica bruciata e il ferro battuto, continuando il suo cammino verso la materia e aprendo la via a nuove forme d'arte, come l'Arte Povera. Opere come Muffa, tuttavia, appaiono in retrospettiva come alcune delle più sottili sovversioni della pittura operate dell'artista: quasi in maniera impercettibile, la materia è introdotta a tradimento nella pittura, trasformando il quadro in un fenomeno modellato da eventi e trasformazioni fisiche. L'anno in cui Burri dipinse Muffa, il grande storico d'arte Giulio Carlo Argan scrisse delle sue opere, soffermandosi appunto su questo aspetto e sottolineando il nuovo ruolo dell'artista che ne scaturiva: "L'immagine, come prodotto diretto della coscienza, non è più "finzione" di cosa, ma cosa stessa (...) puro fenomeno; nata al di fuori di ogni emozione o memoria o analogia naturalistica, non è più il documento di un oggettivarsi e separarsi dell'artista, ma del suo immergersi e confondersi nel reale" ( G. C. Argan nel 1951, in Burri 1915-1995 Retrospektive, cat. mostra, Monaco, 1997, p. 255).